DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Alberto Simoni per “La Stampa”
All’indomani della Festa dell’Indipendenza, l’America si ritrova in tasca un super dollaro che schiaccia le valute straniere e spinge l’euro a un passo dalla parità. Mentre il prezzo del barile scende sotto i cento dollari e si rafforzano i timori di una recessione nei prossimi mesi. La moneta europea è precipitata chiudendo a quota 1,026 dollari. Era dal dicembre del 2002 che non si toccava un livello simile. Per gli analisti la parità è questione di tempo.
La stretta della Fed
La combinazione fra guerra in Ucraina, ascesa dell’inflazione (che su entrambe le sponde dell’Atlantico è sopra l’8%) e la politica su tassi di interesse – più aggressiva quella della Fed, all’insegna del cosiddetto “gradualismo” quella della Bce - ha generato il rapido sconquasso sul mercato delle valute.
Se l’export Ue troverà vantaggi, dall’altra la parità significa un aumento dell’inflazione determinato anche dall’impatto dei costi delle commodity che sono in dollari. Il biglietto europeo ha lasciato oltre l’1,5% mentre il dollaro si è rafforzato sia nei confronti dello yen giapponese (ora a 136 per un dollaro, minimo dal 1998), sia verso il franco svizzero, monete stabili e abituale rifugio degli investitori. In un anno, il biglietto verde ha rosicchiato il 18,5% allo Yen, il 13,5% alla sterlina e il 13,2% all’euro.
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Alla base del super dollaro vi sono due fattori: da una parte la politica aggressiva sui tassi di interesse impostata dal capo della Federale Reserve Jerome Powell. In giugno c’è stata una decisa accelerazione con l’aumento dei tassi di 75 punti base. E secondo alcune indiscrezioni il prossimo intervento potrebbe ricalcare il precedente. Significa portare il costo del denaro ad almeno 2,25%.
Un secondo elemento sono le prospettive migliori rispetto a quelle europee dell’economia Usa. Una frenata è ritenuta altamente probabile dagli economisti anche se gli Stati Uniti arriveranno alla recessione a medio termine e dopo l’Europa.
Pure le ragioni della crescita negativa sono diverse: l’Europa rischia più degli States per la crisi del gas che sta mettendo in difficoltà l’industria manifatturiera tedesca e italiana, mentre Washington pagherebbe la linea dura sui tassi imposta dalla Fed per frenare l’inflazione.
Ieri Wall Street (il Dow Jones ha segnato -1,46% ma il Nasdaq un +0,67%) ha vissuto una giornata complessa in una sorta di «trade da recessione», ha commentato Neil Dutta, capo economista di Renaissance Macro Research a Bloomberg. Il barile è sceso sotto quota 100 dollari dopo la diffusione di un report di Citigroup secondo cui, in caso di recessione, il greggio potrebbe scivolare a 65 dollari. L’oro è arrivato ai minimi da 7 mesi a 1.764 l’oncia.
Lo spettro della recessione ha toccato tutte le borse continentali, segno meno ovunque da Francoforte a Parigi a Milano dove Piazza Affari ha chiuso a meno 3%.
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In questo clima la Casa Bianca si muove per tentare di stroncare la corsa dell’inflazione che sta erodendo non solo il poter d’acquisto degli americani ma anche i risparmi accumulati nei due anni di pandemia.
Uno studio di Moody’s ha evidenziato che i 2,7 trilioni di dollari accantonati dalle famiglie stanno diventando «un bancomat» per milioni di persone i cui stipendi non riescono a stare al passo con la corsa dell’inflazione.
jerome powell simposio jackson hole virtuale
Per tenerla a bada, la Casa Bianca sta anche pensando di togliere parte delle tariffe imposte ai beni cinesi. Ne ha parlato il segretario al Tesoro Janet Yellen con l’omologo cinese Liu He.
Oggi saranno diffusi i verbali della Fed e i dati sulle scorte di greggio. Domani i numeri sull’impiego. Le previsioni parlano di 250mila posti di lavoro in più, meno del previsto, e di una disoccupazione al 3,6%. Potenziali scintille per generare altri sconquassi. Con vista recessione.
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