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Dal Corriere della Sera
LETTERA
Nell'interessante articolo di Edoardo Segantini sull'evoluzione della vicenda Telecom (Corriere, 25 settembre), si legge, fra l'altro, che l'allora presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, avrebbe chiesto alla Banca d'Italia, titolare di azioni Telecom per oltre il 3 per cento, di non partecipare all'assemblea della società che avrebbe dovuto deliberare le difese contro l'Opa della cordata Colaninno. Mi rendo conto che, a furia di ripetere in questi anni, da diverse parti, una notizia infondata, «quelque chose restera» anche in questo caso, nonostante che, di tanto in tanto si sia ricordata la verità dei fatti.
Colgo l'occasione, dunque, per una precisazione, anche se sono fuori dall'Istituto ormai da tempo; ma la memoria storica per una Istituzione ha un suo valore. Non vi fu alcuna richiesta da parte dell'onorevole D'Alema. La Banca d'Italia decise, come sempre, autonomamente, dopo che era stato effettuato con largo anticipo, da parte delle strutture competenti, uno studio approfondito e documentato sulla migliore tutela degli interessi dell'Istituto e, in particolare, dei fondi a garanzia del trattamento di quiescenza del personale, dei quali la partecipazione in questione faceva parte. Si trattò di una rigorosa valutazione economico-finanziaria compiuta, già in prima battuta, da persone di alta competenza tecnica.
Angelo De Mattia
RISPOSTA
Poiché a quel tempo lavoravo in Telecom Italia come direttore della comunicazione, ricordo benissimo che l'amministratore delegato Franco Bernabè andò dal governatore Antonio Fazio, il quale gli garantì che Bankitalia avrebbe partecipato all'assemblea e votato a favore del management, come sempre. Questo non avvenne. Fazio dunque cambiò idea. à azzardato supporre perché convinto da una «moral suasion» al più alto livello?
Edoardo Segantini
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