COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Estratto dell’articolo di Fabio Pavesi e Ferruccio Sansa per “il Fatto quotidiano”
Carige presenta oggi il piano industriale. L’obiettivo dei commissari Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lerner sarà non solo di recuperare ricavi e margini, ma di riconquistare la fiducia dei risparmiatori. Impresa impegnativa, visti i dati in possesso del Fatto (non smentiti dalla banca): dal 31 dicembre, quando fu annunciato il commissariamento, l’istituto genovese è passato da 11,94 miliardi di raccolta diretta a 11,172 di venerdì scorso. Il calo si attesta sui 768 milioni.
A subirne le conseguenze è la raccolta a breve termine passata da 10,676 miliardi del 31 dicembre a 9,945. Quasi inalterati i depositi vincolati e a lungo termine: da 1,264 miliardi a 1,227. Nelle scorse settimane l’emorragia ha superato i 100 milioni a settimana, mentre la settimana scorsa è scesa a 68.
Il nuovo piano parte da una ritrovata solidità patrimoniale grazie ai 2 miliardi di bond con garanzia statale e a un bilancio ripulito di almeno 1,7 miliardi di crediti malati per i quali sono in corsa la Sga pubblica e il Credito Fondiario. Ma i commissari pensano anche a una banca che ritrovi vigore sui ricavi puntando sull’asset management di una delle Regioni a più alta ricchezza pro capite e più alto tasso di risparmio.
Ma risparmiatori e investitori si aspettano chiarezza anche su alcune operazioni del recente passato. Il dubbio che Modiano e Innocenzi dovranno dissipare è se Carige abbia ceduto crediti deteriorati e asset a valori troppo bassi. Se non addirittura in perdita. Già Il Fatto ha scritto di crediti malati valutati il 30% in meno di quanto la piattaforma interna della banca fosse allora riuscita a realizzare.
Ma c’è un’altra operazione che suscita dubbi: la cessione di Creditis, la società di credito al consumo. Era un gioiello di Carige, da 40 milioni di ricavi l’anno. Nel dicembre 2017 i vertici della banca decisero di vendere al fondo Chenavari. Un’operazione che oggi i commissari si ritrovano sul groppone. “Un contratto pessimo dal punto di vista della redditività e delle conseguenze sullo stato patrimoniale della banca. Era formulato in modo binding (vincolante, nda) e il tribunale ci ha imposto di firmare”, ha detto Modiano. Innocenzi ha rincarato: “Abbiamo provato a modificare questo contratto, ma il risultato è stato un contenzioso con Chenavari. Abbiamo fatto udienze a Milano e l’unico modo per tutelare la banca era dare esecuzione al contratto, sostanzialmente nelle forme previste”.
I passati vertici, in carica nel 2017, all’epoca garantirono di aver verificato offerte diverse e di essersi avvalsi di due pareri esterni. La somma prevista dal contratto era di 80,1 milioni per l’80 per cento di Creditis: 50 milioni da versare subito e gli altri 30 in due tranche tra 2019 e 2021.
A sollevare i dubbi degli stessi commissari sarebbero state alcune clausole del contratto: “Intanto – racconta al Fatto una fonte interna a Carige – è previsto che gli utili 2017 e 2018 vadano all’acquirente. C’è anche una clausola che prevede una penale in caso gli assetti societari della banca cambino dopo la vendita di Creditis”. La ragione è semplice: Creditis doveva fornire i suoi servizi presso gli sportelli dell’istituto ligure. Qualora questo fosse stato acquistato, per esempio, da una grande banca ecco che Creditis avrebbe perso gran parte del suo valore. Il risultato, però, rischia di essere questo: l’accordo di cessione si perfezionerà nei prossimi mesi, proprio quando Carige potrebbe passare di mano.
“In questo caso la penale potrebbe essere massima – spiega la fonte interna a Carige – e la vendita potrebbe quasi finire in perdita”. I vertici della banca hanno spiegato di aver previsto accantonamenti per la questione Creditis, lasciando appunto ipotizzare che la cessione possa comportare perdite. Paradosso nel paradosso nel contratto si prevedeva che fosse Carige a finanziare l’acquirente. Con una mano prendo con l’altra restituisco. È l’unica clausola che i nuovi vertici sono riusciti a disinnescare in tempo.
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