DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Da “MF- MilanoFinanza” Estratto
All’indomani dell’assemblea delle Generali del 2022 che chiuse la battaglia per il controllo della compagnia triestina questo giornale rilevò il ruolo decisivo che giocarono gli investitori esteri…..
Due anni dopo quella storica assemblea (e alla vigilia del rinnovo del cda delle Generali, previsto per il 2025) i numeri non sono cambiati. Anzi, la quota degli investitori istituzionali che hanno partecipato all’assise dell’altroieri è cresciuta rispetto al 2022, complice anche l’assenza di titoli presi temporaneamente in prestito o in pegno, come fecero allora proprio Mediobanca (4%) e Caltagirone (3%).
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PHILIPPE DONNET
La fotografia che esce dall’assemblea di mercoledì scorso, dove Delfin e Caltagirone (detentori di circa il 16%) hanno deciso di non votare, dà una visione ancora più plastica dello squilibrio in campo: il capitale presente in assemblea (quasi il 50%) ha votato compatto con il consiglio di amministrazione, con percentuali superiori al 95%, persino sui temi della remunerazione dei manager, che pure risultano controversi in molte assemblee ormai già da alcuni anni.
FRANCESCO MILLERI LEONARDO DEL VECCHIO
Conti alla mano, se anche i due azionisti avessero fatto sentire la loro voce, tutte le risoluzioni all’ordine del giorno sarebbero passate con maggioranza assoluta…..
Che cosa accadrà tra un anno, quando si tratterà di nominare il consiglio e di decidere presidente e amministratore delegato delle Generali? Da un lato, se si guarda alla scia degli ultimi scontri (appunto Generali nel 2022 e Mediobanca nel 2023) i due azionisti attivisti hanno raccolto pochissimi voti in più rispetto alle azioni da loro possedute e non li hanno certo raccolti dagli investitori istituzionali.
Donnet Caltagirone Del Vecchio
Dall’altro, se il ceo Philippe Donnet porterà a casa i numeri promessi al mercato con il piano che termina a fine anno (con i dividendi: 2 miliardi di euro più il buyback da 500 milioni, già fatto) e presenterà un nuovo piano ambizioso a gennaio 2025, il mercato tenderà a premiare la continuità.
Non è ancora chiaro quali effetti avrà sulla lista del cda la legge Capitali approvata dal Parlamento. Se restasse così, il board del Leone potrebbe considerare di non presentare una sua lista.
francesco gaetano caltagirone philippe donnet
Ma cambia poco. Chiunque la presenti, dovrà essere una lista in grado di convincere i fondi e coagulare i voti della maggioranza dell’assemblea di Generali. Se non sarà il cda uscente a presentarla, gli scenari alternativi non sono molti: o vi sarà una sola lista lunga predisposta sulla base di quella lezione appresa nel 2022 - ovvero premiare i risultati raggiunti - oppure Delfin e/o Caltagirone riterranno insoddisfacenti i risultati conseguiti e i nuovi obiettivi e decideranno di dare nuovamente battaglia.
Ma per sperare di vincere un’assemblea combattuta, dove normalmente il livello di partecipazione è oltre il 70%, e con il mercato che finora ha sostenuto il management, partire dal 16% non aiuta. E cambierebbe poco anche se il 16 diventasse 26, ipotizzando che Delfin approfitti dell’autorizzazione Ivass a salire al 20% e decida di mettere sul piatto altri 3,5 miliardi, mica bruscolini in questa fase di tensione tra gli eredi Del Vecchio.
Come dimostrano le recenti vicende della finanza italiana (ultima in ordine di tempo, Fondazione Crt) non è più tempo di patti occulti o accordi sottobanco tra azionisti di minoranza né tantomeno di azioni che si pesano da un lato e di parco buoi dall’altro. Chi vuol comandare può fare un’opa.
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