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Ugo Bertone per “Libero quotidiano”
A Natale, si sa, va di moda la bontà. E così capita che la Germania, da sempre inflessibile nel pretendere gesti (anzi, sacrifici) concreti prima di concedere crediti, decida di fare un’eccezione per la Grecia. Il Bundestag, infatti, ieri ha approvato l’erogazione di una linea di credito “precauzionale” a favore di Atene di 10 miliardi di euro in attesa che, entro febbraio, il Parlamento greco approvi il nuovo pacchetto di misure da concordare con la Trojka.
La novità, dice il ministro Wolfgang Schaeuble, si spiega con i progressi compiuti dal Paese ellenico sul fronte della riforma del lavoro e su quello del bilancio. Insomma, è il momento dei buoni sentimenti. Janet Yellen, al termine della riunione della Fed, ha avvertito i mercati che la banca centrale Usa sarà «paziente» prima di alzare i tassi. Berlino, all’apparenza, è ancor più “altruista”.
O no? Se entro il 29 dicembre il premier Antonis Samaràs, che conta in Parlamento 155 voti, non riuscirà a convincere altri 25 deputati ad eleggere il suo candidato alla presidenza della Grecia, si andrà inevitabilmente ad elezioni anticipate a febbraio, con la prospettiva di dover fare i conti con una maggioranza decisa a ridiscutere i debiti (240 miliardi) con Bruxelles e il Fondo Monetario.
Un disastro, che Berlino tenta di evitare in ogni modo. Il “regalo condizionato” dei deputati tedeschi ai colleghi greci, insomma, è il frutto di una solidarietà “pelosa”: votate bene, altrimenti a febbraio mi riprendo tutto con gli interessi. Del resto, la bontà natalizia non sta facendo breccia nella fiducia dei mercati.
Certo, grazie alla liquidità abbondante, le Borse festeggiano nuovi rialzi che porteranno ricchi regali ai portafogli dei banchieri, che spesso hanno bonus legati alle performances di fine anno. Ma la corsa al ribasso delle emissioni obbligazionarie dimostra che la ripresa è ancora lontana. E molti preferiscono accontentarsi di rendimenti minimi, piuttosto che rischiare di restare con il cerino in mano. Il segnale più clamoroso è arrivato ieri dalla Svizzera, che ha scelto ieri la “politica del materasso”.
La banca centrale, infatti, ha deciso che, a partire dal 22 gennaio, i depositi in franchi non solo non riceveranno alcun interesse, ma dovranno pagare un prezzo per parcheggiare il denaro nei forzieri di Berna. Insomma, per paradosso, costerà di meno nascondere i soldi sotto il giaciglio di casa. Non è una novità assoluta: anche in Svezia sui depositi c’è da qualche mese un interesse negativo e lo stesso vale per le banche che si rivolgono alla Bce. Ma in quei casi la manovra si spiegava con il tentativo di stimolare gli investimenti di rischio, scoraggiando il mancato impiego della liquidità.
Diversa la situazione della Svizzera. Il problema non è di stimolare investimenti, semmai di evitare una corsa al franco come bene rifugio, che farebbe schizzare alle stelle la moneta, a danno della competitività delle imprese. Insomma, nonostante la voluntary disclosure e la fine del segreto bancario alle porte, il porto sicuro di Zurigo fa ancora gola.
Anche perché, per ora, né Ubs né Crédit Suisse hanno deciso se adeguarsi al messaggio della banca centrale (che vale per i depositi da 10 milioni in su): per ora le condizioni, già striminzite, applicate ai conti correnti non cambiano. Ma il trend è segnato: il Btp a 10 anni viaggia al di sotto del 2 per cento, il Bund tedesco rende lo 0,50%, superiore solo al Japan bond (0,35%). La fiducia, dunque, costa cara di questi tempi.
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