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DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO E ISCRITTA ALL’ASSOCIAZIONE DEI PARTIGIANI - YUJA WANG, LA STELLA PIU' LUMINOSA DEL PIANISMO CLASSICO, ENTRA IN SCENA STRIZZATA IN UN VESTITINO DI PAILLETTES CHE SCOPRE LE COSCE FINO ALL'INGUINE, TACCHI “ASSASSINI” E LA SCHIENA NUDA FINO ALL’OSSO SACRO. MA NON STIAMO ASSISTENDO ALLE SCIOCCHEZZE DA DISCOTECA DI CERTE “ZOCCOLETTE” DEL POP IN PREDA A SFOGHI DI TETTE, SCARICHI DI SEDERONI, SCONCEZZE DA VESPASIANO; NO, SIAMO NEL MONDO AUSTERO E SEVERO DEI CONCERTI DI “CLASSICA”: RACHMANINOFF, PROKOFIEV, MOZART, CHOPIN, CAJKOVSKIJ. MA ALLA WANG BASTA UN MINUTO PER FAR “SUONARE” LE COSCE DESNUDE METTENDOLE AL SERVIZIO DELLE EMOZIONI E DELL’INTERPRETAZIONE MUSICALE, CONFERMANDO IN PIENO LE PAROLE DI LUDWIG VON BEETHOVEN: “LA MUSICA È LA MEDIATRICE TRA LA VITA SPIRITUALE E LA VITA SENSUALE” - VIDEO

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Perché negarlo? E' come vedere Giorgia Meloni col fazzoletto rosso al collo e iscritta all’associazione dei partigiani. Yuja Wang entra in scena al Festival di Ravello strizzata in un vestitino di paillettes color verde smeraldo che scopre le cosce fino all'inguine, la schiena nuda fino all’osso sacro, tacchi “assassini” dalla suola rossa griffati Louboutin.

 

Posizionato un Ipad sul leggio del pianoforte, le ‘’dita volanti” di Wang cominciano a schizzare, scivolare, percuotere i tasti; sembra quasi posseduta dal diavolo ed è impossibile non essere tentati di chiamare un esorcista di fronte al furore di corpo e anima che mette in scena.

 

Il disorientamento del pubblico arriva dal fatto che non stiamo assistendo alle sciocchezze da discoteca di certe “zoccolette” del pop in preda a sfoghi di tette, scarichi di sederoni, volgarità fumettona, sconcezze da vespasiano; no, non stiamo ascoltando le solite pippe canterine e chitarrose di Beyoncé e Taylor Swift ed Elodie: siamo nel mondo austero e severo dei concerti di “classica”: Rachmaninoff, Prokofiev, Mozart, Chopin, Cajkovskij.

 

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Ma il suo look non rischia di diventare l'argomento pruriginoso della serata perché alla Wang basta un minuto per far “suonare” le cosce desnude mettendole al servizio delle emozioni e dell’interpretazione musicale, confermando in pieno le parole di Beethoven: “La musica è la mediatrice tra la vita spirituale e la vita sensuale”.

 

Il ‘’Los Angeles Times’’ è arrivato a scrivere che il virtuosismo di Wang sarebbe riuscito persino ad attirare le gelosie di grandi pianisti quali Prokofiev e Horowitz. E non a caso Yuja Wang è considerata la stella più luminosa della sua generazione, non solo per le sue supreme qualità di musicista ma per il fatto di riuscire a stregare, con il suo carisma e presenza da "femme fatale", una platea che spazia verso tutto le fasce d’età.

 

Enfant prodige classe ‘87, Wang ha iniziato a suonare il pianoforte a soli sei anni: “Mi sono trasferita a 14 anni – da sola, i miei sono rimasti a Pechino – in Canada e successivamente a Filadelfia per studiare, quindi il periodo della mia formazione è stato a cavallo fra due culture, tra la visione americana (“Devi prendere il controllo della tua esistenza”) e quella orientale (“Sii come l’acqua, asseconda le forme delle cose”)”.

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A ventun anni con una serie di recital in giro per il globo era già una star, sempre tampinata dai critici babbioni con il naso arricciato e il ditino alzato: ‘’E’ troppo bella: nessuno la ascolta…”. Certo, non potevano non riconoscerle un talento trascinante e un virtuosismo strepitoso, ma peccato! quegli abitucci con vista mutanda da ballerina di pole-dance…

 

“Il suo vestito – scrisse Mark Swed, critico del Los Angeles Time - era così corto e attillato che se ce ne fosse stato appena un po' meno, Hollywood Bowl avrebbe dovuto limitare l'ingresso a qualsiasi amante della musica al di sotto dei 18 anni non accompagnato da un adulto’’.

 

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Wang ovviamente se ne frega dello stereotipo della musicista introversione & tormento e replica: “Suonare il piano non è qualcosa di solo fisico e non è questione di perfezione tecnica, ma di quanta energia comunichi. La musica classica ha una funzione necessaria pure per chi ascolta: è un canale per entrare in contatto con le proprie emozioni, per conoscersi meglio e diventare più completi, più gentili, comprensivi, creativi”.

 

Intervistata da Maria Laura Giovagnini su “Io Donna”, Wang ha spiegato bene il segreto del suo successo: “La musica classica è come una versione più lunga - e forse più profonda - di una canzone di Rihanna. Claudio Abbado diceva che nasce e finisce nel silenzio, se uno ha il caos dentro non ha lo spazio per sentire quel che ha da offrirgli”.

 

A Valerio Cappelli, sul “Corriere della Sera, ha aggiunto: “Più conosco la musica, più sono libera. Anche ascoltare tanta musica mi aiuta. La libertà è una conquista dell’età. Se sai quello che vuoi vai più  lontano. In ogni caso la questione non è cosa voglio io dalla musica, ma cosa scopro nella musica’’.

 

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Supportata da una ottima e giovane formazione come la Mahler Chamber Orchestra, domenica scorsa sul Belvedere di Villa Rufolo, Wang ha regalato ben due concerti: oltre al celeberrimo Concerto per pianoforte n. 1 in Si bemolle minore op. 23 di Cajkovskij ci ha fatto scoprire la funambolica musica classica ma densa di influssi jazzistici del compositore ucraino Nikolaj Kapustin (scomparso nel 2020), pochissimo conosciuto in Italia.

 

Al termine del concerto, si è formata davanti alla porta che dà accesso ai camerini una lunga fila di spettatori impazienti di stringere le dita di acciaio della Wang. Quando a un certo punto, dal palco, riecheggia il suono di un pianoforte… Il presidente del Festival di Ravello, il benemerito Alessio Vlad, abbandona gli ospiti e si scapicolla per vedere cosa sta succedendo sul palcoscenico: era la Wang che aveva in corpo ancora tanta adrenalina che è stata costretta a risedersi al piano per scaricarla…

 

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POST SCRIPTUM

Quando si dice il caso… La presenza di una donna con una forza visionaria come la Wang è stata la perfetta risposta alla poetica mostra le ‘’Donne dell’Antichità’’ di Anselm Kiefer, allestita in collaborazione con la Galleria Lia Rumma, sempre negli spazi Villa Rufolo.

 

“Nella storia ci sono così tante scienziate e alchimiste che non hanno potuto firmare i loro trattati perché erano donne”, afferma l’artista tedesco, “Le donne sono sempre state molto più potenti degli uomini per questo gli uomini hanno inventato ogni stratagemma culturale per lasciarle ai margini”.

 

Un tema che ritorna nei lavori di Kiefer è la rievocazione di una leggenda della storia romana, narrata da Plinio, cara al femminismo degli anni ’70, conosciuta come “Paetus, non dolet”, che Wang apprezzerebbe eccome. Racconta la triste istoria del generale Paetus che si ribella a Giulio Cesare. La congiura fallisce. Catturato, la pena per chi tradisce Roma è di conficcarsi nel petto una ‘’daga’’, un pugnale a doppio taglio, davanti alle truppe schierate.

 

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Al momento di togliersi la vita, Peatus è prima esitante e poi sempre più atterrito. Davanti alla vigliaccheria del marito, tipica dei maschietti, sopraggiunse Arria che preso il pugnale se lo infisse in petto, lo estrasse e glielo restituì pronunciando al marito la celebre frase: “Paetus, non dolet” (Paetus, non fa male).

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