DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Fabrizio Massaro per il “Corriere della Sera”
La foto scattata all’assemblea Unicredit a Roma tra il presidente Giuseppe Vita, il ceo Federico Ghizzoni e i rappresentanti di Banca centrale libica e fondo sovrano Lia ha segnato un punto di svolta: il ritorno del socio libico dopo oltre tre anni di oblio dovuto alla fine del regime di Muhammar Gheddafi, poi al congelamento dei beni disposto dall’Onu e al caos del Paese africano diviso tra il governo di Tobruk (riconosciuto internazionalmente) e quello islamista di Tripoli. Immortalati con i banchieri erano il presidente della Central Bank of Libya (al 2,9% in Unicredit) Saddek Omar El Kaber, e quello del Libyan Investment Authority (all’1,25%) Abdulrahman Benyezza.
VITA GHIZZONI AZIONISTI LIBICI
A richiedere la foto sarebbero stati i due libici. Ma certo non per ricordo. I retroscena di quello scatto rivelano una lotta di potere tra le fazioni libiche per mettere le mani sui 67 miliardi di dollari del Lia, che si è combattuta anche in Italia.
Secondo fonti dirette, oltre a El Kaber e Benyezza all’assemblea della banca del 13 maggio ha provato a farsi ammettere almeno un altro cittadino libico che rivendicava di essere il legittimo «rappresentante dei soci libici». Lo stesso però sostenevano Benyezza e El Kaber, assistiti dallo studio legale Curtis (che non ha voluto commentare). Chi aveva ragione?
FEDERICO GHIZZONI E GIUSEPPE VITA
Secondo le notizie circolate mesi fa, Benyezza ed El Kaber sarebbero stati deposti a fine 2014 dalle istituzioni di Tobruk. A capo del Lia ci sarebbe adesso un altro libico, Ahmed Bouhadi. Lo scorso 31 maggio sul quotidiano britannico The Telegraph Bouhadi ha rivendicato la guida del Lia, che opera in esilio da Malta, e ha svelato l’esistenza di una controversia legale a Londra contro Benyezza per stabilire chi sia titolato a continuare la causa che il fondo ha avviato contro Goldman Sachs e SocGen per presunte perdite miliardarie in derivati.
Ma le azioni Unicredit erano fisicamente nelle mani non all’inviato di Bouhadi ma dei «deposti» Benyezza e di El Kaber, che per questo sono stati ammessi (e hanno votato) all’assemblea. I due hanno sostenuto di agire «nell’interesse dello Stato libico» e non per una delle fazioni in lotta. Il caos, e il mistero, continuano.
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