DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Maurizio Maggi per "l'Espresso"
Potrebbe costare anche 200 milioni di euro, ci vorrà almeno un anno di tempo dall'inizio dei lavori e saranno impegnati senza sosta oltre 200 specialisti soltanto nelle squadre di demolitori/recuperatori, senza contare cioè gli addetti ai pontoni, ai rimorchiatori e i guardiacosta. Liberare l'isola del Giglio dalla megacarcassa della Concordia incagliata sulle rocce dal 13 gennaio sarà un'impresa complicata e onerosa. Sul tappeto ci sono tre ipotesi: tappare le falle e rimorchiarla; tappare le falle, asportare alcuni ponti superiori e rimorchiarla; farla a pezzi sul posto.
"Il primo scenario è il più allettante ma anche il più difficile da realizzarsi, visto che c'è poca acqua sotto la nave e ciò rende problematico poter applicare eventuali cassoni di spinta. Il terzo scenario è sicuramente il più devastante; segarla sul posto, con le catene o con le fiamme ossidriche, e il più pericoloso per l'ambiente, perché potrebbe finire in mare di tutto", sostiene Vincenzo Ruggiero, ex ufficiale della Marina, già docente di ingegneria navale a Genova, dov'è titolare di uno studio navale, e consulente per il ministero dell'Ambiente e della Protezione civile nei principali casi di recupero relitti della storia recente, dal naufragio della Seagull nel canale di Sicilia (1974) all'asportazione delle ultime 100 tonnellate di gasolio ancora imprigionate nella petroliera Haven nel golfo di Genova (tre anni fa).
"Solo per rimuovere quel carburante ci vollero 5 milioni di euro: nella Concordia il gasolio è 25 volte tanto, e questo già fa capire a che tipo di spesa andiamo incontro", aggiunge il super-esperto. Ruggiero è convinto che l'opzione intermedia sarebbe la più semplice: "Dopo aver tamponato le falle, si tagliano e si asportano 6-7 dei 18 ponti della nave, quelli più facili da raggiungere, si riporta l'imbarcazione in posizione di galleggiamento e la si porta via".
Ma chi sceglierà il sistema per rimuovere la nave? La Costa sta predisponendo il capitolato per la ciclopica opera e le poche società specializzate al mondo affilano le armi: sarà la vincitrice della gara a fare la proposta, che dovrà poi essere accettata dal comitato tecnico-scientifico creato dalla Protezione civile per monitorare passo passo la vicenda. In prima fila c'è l'olandese Smit Salvage.
Rappresentata in Italia dalla Cambiaso Risso di Genova, la Smit già si è occupata, insieme alla Neri di Livorno, di mettere in sicurezza la Concordia e, in 28 giorni lavorativi continuativi (condizioni meteo permettendo) dovrà svuotare i serbatoi di gasolio della nave da crociera. Dice papale-papale il capo delle operazioni Smit, Max Iguera: "à il più grosso caso di recupero della storia: chi sarà incaricato avrà un'enorme visibilità . Se ce la farà , entrerà nella leggenda. Se le cose dovessero non filare per il giusto verso, si brucerà ".
Negli uffici della Titan di Jacksonville, in Florida, così come in quelli di Copenaghen della Svitzer (che appartiene al colosso danese Maersk) e dell'altra americana Resolve Marine di Fort Lauderdale, sempre in Florida, frotte di ingegneri fanno notte sfornando calcoli e simulazioni per prepararsi alla tenzone. Un drappello di uomini della Titan è arrivato in avanscoperta sui moli del Giglio a pochi giorni dal naufragio.
Su richiesta del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, che è anche il commissario per l'emergenza Concordia, il costruttore della nave, la Fincantieri, e il Rina, il registro navale, hanno dichiarato che l'imbarcazione, sdraiata sul lato sinistro, è da considerarsi stabile se non intervengono eventi meteo straordinari. Quindi, incrociando le dita, il dibattito si va concentrando sulle modalità di rimozione dell'ex condominio navigante.
Anche se è impossibile azzardare cifre precise sull'impegno economico necessario, le stime degli addetti ai lavori ballano tra i 100 e i 200 milioni, con la sensazione che si andrà a finire nella parte più alta della forchetta. Se la Costa stabilirà che la Concordia, una volta messa nelle condizioni di essere rimorchiata, dovrà comunque essere destinata alla rottamazione, che ne sarà della ex regina dei mari?
"Sarà probabilmente trasportata sulle spiagge di Vietnam, Bangladesh o India. Non esistono cantieri demolitori per navi di queste dimensioni, in Italia", dice ancora Ruggieri. Nell'indiana Alang Bay, vero e proprio cimitero per relitti navali, e in molte altre zone del Far Est che si sono "specializzate" nel business le norme di sicurezza e igiene sono naturalmente assai più lasche di quelle europee.
Pure per Paola Gualeni, docente di Statica della nave dell'Università di Genova, andrebbe evitata la demolizione sul posto. In ogni caso, ritiene che l'operazione richiederà un impegno ingegneristico di altissimo livello. "Ora il peso della nave non è sostenuto solo dalla cosiddetta "spinta di Archimede" ma anche dalla reazione di incaglio. Dopo averla liberata dal gasolio e dopo aver rattoppato le falle, andrà sollevata per far sì che riprenda a galleggiare. Con i palloni o con le gru, o saldando dei cassoni al lato che è fuori dall'acqua. Sarà comunque una sfida complicata, perché le sue condizioni di equilibrio si modificheranno continuamente.
Le tecnologie per portarla a termine ci sono, pensi alle gru impegnate nelle piattaforme offshore e capaci di sollevare migliaia di tonnellate, ma tutto va calcolato con la massima precisione". E senza quindi farsi forzare dalle naturali pressioni degli abitanti dell'isola, ovviamente per nulla felici di convivere per almeno dodici mesi con la Concordia sdraiata sotto costa.
Ammesso che la lunga opera di pompaggio delle 2.300 tonnellate di gasolio fili per il verso giusto, intanto, ci si continua a preoccupare per le altre sostanze ancora a bordo, molte delle quali sicuramente inquinanti. "Come la tonnellata di candeggina, che a contatto con l'acqua di mare forma i tramoletani, sostanze che in alcuni casi possono rivelarsi cancerogene anche per l'uomo, mentre i 600 chili di grassi per la manutenzione dei motori, depositandosi sul fondo, causerebbero una carenza d'ossigeno per i pesci", sottolinea Vittoria Polidori, responsabile della campagna Toxics dell'associazione ambientalista Greenpaeace.
Sulla Concordia c'erano anche 50 litri di insetticidi e molti detergenti concentrati, che a contatto con l'acqua possono divenire assai dannosi. Senza dimenticare i rifiuti hi-tech: computer, cellulari, modem, stampanti. "Tutta roba ricca di pvc e ritardanti di fiamma a base di bromo, capaci di effetti altamente nocivi per la tiroide e il sistema nervoso dell'uomo". Un motivo in più per sperare che la Concordia non venga sbriciolata davanti al Giglio, con l'inevitabile spargimento di veleni nelle azzurre acque della perla (a rischio) del Tirreno.
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