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Fabio Tamburini per il “CorrierEconomia - Corriere della Sera”
andrea guerra matteo renzi leopolda
La nuova società per la ristrutturazione e il consolidamento di aziende in crisi d’interesse strategico è stata approvata dal governo ma, per il momento, è tutta da costruire. Il contenitore, fortemente voluto dall’ex amministratore delegato di Luxottica, Andrea Guerra, diventato uno dei consiglieri più vicini alla presidenza del consiglio, c’è. Adesso è arrivato il momento dei contenuti.
Va definita la governance, scritto lo statuto, stabilite regole e regolamenti. Nel gruppo di lavoro, che negli ultimi giorni ha forzato i tempi, spicca un banchiere che rappresenta un pezzo di storia della finanza italiana: Guido Roberto Vitale, protagonista di ristrutturazioni finanziarie per conto di grandi gruppi italiani e multinazionali, aziende familiari e investitori istituzionali. Al progetto, in particolare, sta lavorando Orlando Barucci, partner della Vitale & Associati, il figlio dell’ex ministro del Tesoro, Piero Barucci. Un passaggio chiave è la definizione di cosa s’intende per «strategico», presupposto per la selezione delle aziende su cui puntare.
Certamente verranno individuate tenendo presenti i 150 casi di crisi seguiti attualmente dal ministero dello Sviluppo economico. Ma non si pescherà soltanto lì. Un paio d’interventi, che potranno seguire all’impegno nell’Ilva, si stanno delineando: Sirti e Italtel. La prima è leader nell’ingegneria e nell’impiantistica di rete, gestisce le attività per telecomunicazioni, energia, trasporti. Italtel progetta e sviluppa reti integrate di telefonia. In entrambi i casi sono aziende ancora vitali, che però devono fare i conti ancora oggi con un passato drammatico. Non è detto però che saranno quelle scelte.
I nomi di Guerra e della Vitale & Associati sono un biglietto da visita eccellente nella ricerca dei denari necessari. In parte arriveranno dalla Cdp, ma anche da fondi d’investimento, banche, enti previdenziali e fondi pensione. Il progetto prevede due tipologie di azioni. Una sarà a maggior rischio e rendimenti più elevati, mentre la seconda verrà riservata agli investitori interessati a redditività pressoché certe ma ovviamente inferiori.
Su alcune ipotesi si sta lavorando. La più significativa permetterebbe il coinvolgimento in un colpo solo sia di un importante fondo d’investimento internazionale sia delle maggiori banche, ma è ancora tutta da costruire e non mancano perplessità. L’idea è verificare i punti di contatto tra la società in costituzione e il progetto per i crediti bancari in ristrutturazione avviato da Unicredit, Intesa Sanpaolo e dal fondo americano Kkr, che nell’aprile scorso hanno firmato un protocollo d’intesa insieme ad una società specializzata nei servizi finanziari, la Alvarez & Marsal.
Un aspetto particolarmente delicato è come verranno selezionate le aziende da rilanciare. L’assalto alla diligenza è pronto a partire. E l’occasione per un ricco bottino ci sono tutte. Ma, proprio perché il rischio di ripetere gli errori fatti durante la Prima Repubblica è evidente, l’allerta è a livello massimo.
Nessuno intende ripetere esperienze fallimentari come la Gepi o la Sofin dell’Iri, che rappresentano una sorta di enciclopedia di quanto occorre evitare, a partire dalla distribuzione a pioggia di risorse con l’unico risultato di salvaguardare l’occupazione soltanto nel breve periodo. Il pericolo è ben presente a tutti quelli che se ne stanno occupando: dal dicastero dello Sviluppo economico, con la ministra Federica Guidi che ha creduto fin dal principio all’iniziativa, a quello dell’Economia.
maria elena boschi e federica guidi
Volontà comune è che la nuova società abbia una governance inattaccabile, necessaria anche per evitare di finire sul banco degli imputati in Europa con l’accusa di violazione delle norme che vietano gli aiuti di Stato alle aziende in difficoltà. Il problema si è posto fin dall’inizio e l’operazione è sempre stata pensata come aperta ai capitali privati che, tuttavia, è condizione indispensabile ma non sufficiente.
Ecco perché giovedì scorso è scattato l’allarme del ministero del Tesoro, seguito alla richiesta della Cassa depositi e prestiti (Cdp) di avere garanzie pubbliche a fronte dei capitali che porterà in dote. La soluzione è che lo Stato ne sarà garante ma, ed è questo il punto, a condizioni privatistiche. Il che significa che le garanzie verranno date ma avranno un prezzo. Tra gli artefici della soluzione c’è Claudio De Vincenti, economista e professore, viceministro dello Sviluppo economico, convinto dell’opportunità di una struttura societaria che garantisca alla nuova società totale autonomia e indipendenza dalla politica. «È un passaggio fondamentale — spiega — per scelte orientate al mercato e non assistenziali».
Capitali privati entreranno a due livelli, la società capofila e le eventuali controllate. Gli interventi che verranno decisi, infatti, saranno acquisti diretti di partecipazioni nelle aziende da rilanciare oppure la creazione di newco, cioè di nuove società. Quest’ultimo, per esempio, è lo schema preferito per l’Ilva se, dopo l’entrata in Legge Marzano, la strada sarà l’affitto degli impianti ad una realtà terza. Ma, su altri fronti, non sarà l’unica possibilità.
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