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Marco Palombi per "Il Fatto Quotidiano"
Enrico Letta ha scoperto ieri pomeriggio cosa vuol dire non scegliersi da solo il ministro dell'Economia. Fabrizio Saccomanni, com'è noto, è stato fortemente voluto in quel posto da Giorgio Napolitano per garantire - insieme a lui, ovviamente - gli impegni presi dall'Italia coi suoi creditori (se volete chiamateli "partner dell'Unione europea").
Il consolidamento dei conti pubblici, che serve soprattutto a garantire il pagamento del debito estero, è il credo e la filosofia di governo del neoministro: insomma, con l'Imu e delle altre tasse e/o spese si può scherzare solo fino ad un certo punto.
Ieri, in audizione al Senato sul Def, ha con una certa nettezza riportato alla realtà tanto la sua maggioranza che il suo presidente del Consiglio: "In questo momento non possono esserci rinegoziazioni con la Ue", "il deficit sarà tenuto sotto il 3%, che è un limite invalicabile"; "il nuovo governo proseguirà sulla strada del consolidamento dei conti"; "riscriveremo una parte del Def e il nuovo testo indicherà quello che si può fare coerentemente con gli obiettivi per il superamento del disavanzo eccessivo.
Per il resto (il programma annunciato in aula da Letta, ndr) andranno trovate coperture"; su esodati e rifinanziamento della Cassa integrazione straordinaria "non possono essere assunti provvedimenti improvvisati".
Quasi negli stessi minuti, anche Mario Draghi - grande sponsor di Saccomanni, che tentò anche di far diventare governatore di Banca d'Italia dopo la sua ascesa alla Bce - insisteva sul fatto che i paesi dell'eurozona "non devono allentare gli sforzi per ridurre i deficit, e dovrebbero continuare a promuovere riforme strutturali".
Letta, in sostanza, gioca una partita che persino in Italia vede in campo tre attori principali: l'azionista di maggioranza debole (il Pd), quello di minoranza che possiede la golden share (il Pdl) e quello bancario che si è ritrovato in mano un bel po' di quote durante la crisi e dà pure le carte (la burocrazia Ue via Saccomanni e Napolitano). La faccenda rischia di farsi davvero complicata proprio sull'Imu, su cui c'è "una considerazione esclusiva e quasi morbosa del dibattito politico" (copyright Mario Monti). Il centrodestra non pare voler accantonare la sua bandierina elettorale dell'abolizione completa sulla prima casa e della restituzione delle rate del 2012.
Ieri, in serata, ci è tornato Silvio Berlusconi: "Non potremmo veramente far parte di un governo, e neanche sostenerlo dall'esterno, che non tenesse fede alla parola che noi abbiamo dato. In termini semplici, perderemmo completamente la faccia e non credo sia il caso". Il Pd, dal canto suo, continua a non gradire la cosa: "Io ne faccio un discorso pratico - dice il responsabile economia Stefano Fassina - Se improvvisamente abbiamo trovato 10-12 miliardi da spendere ben venga, ma non sarà così.
Meglio evitare l'aumento dell'Iva che pesa sui consumi e quindi sull'attività produttiva delle imprese e sul lavoro e cancellare l'aumento dei ticket previsto per il 2014". Ora è chiaro che bisognerà chiedere un parere anche al ministro Saccomanni, il Monti senza Monti.
saccomanni-draghi ENRICO LETTA E SILVIO BERLUSCONIBrunetta Renato ENRICO LETTA ALLA CAMERA TRA ALFANO E BONINOIMUbarroso
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