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Stefano Vergine per “l’Espresso”
Vendere o svendere la chimica italiana? È il dilemma su cui si arrovellano in queste settimane gli analisti che seguono Eni. L'azienda di Stato vuole infatti cedere la sua controllata Versalis, che con 5.200 dipendenti, cinque centri di ricerca, 250 brevetti e otto stabilimenti sparsi per lo Stivale rappresenta buona parte dell' industria chimica tricolore.
A comprare potrebbe essere Sk Capital, fondo americano di private equity, che attraverso uno dei fondatori, Barry Siadat, ha ammesso di essere interessato. Contattata da "l' Espresso", Eni conferma di essere in trattativa con «un' unica società», selezionata attraverso «precise specifiche», ma non rivela né il nome dell' acquirente attualmente prescelto né quelli di altri candidati al momento scartati.
Le condizioni di vendita sono però chiare. Il nuovo socio dovrà mantenere intatte le attività per almeno cinque anni, i livelli occupazionali per almeno tre, e confermare il piano di investimenti da 1,2 miliardi di euro. Sk Capital, che secondo le indiscrezioni punta al 70 per cento di Versalis, non sarebbe alla prima esperienza nel settore.
Il fondo possiede oggi quote rilevanti in otto aziende nel mondo, tutte del comparto chimico-farmaceutico, per un fatturato complessivo di 8 miliardi di dollari e novemila dipendenti. L' Eni e la società americana non hanno voluto fornire dettagli sulla trattativa esclusiva in corso. Di certo, Sk Capital gestisce 1,5 miliardi di dollari di capitale.
Un dato utile per capire quanto può sborsare per Versalis. I fondi di private equity chiusi, in genere, non possono investire più di una certa percentuale del loro capitale in una singola società: un limite fissato per non esporre gli investitori a rischi eccessivi. Secondo quanto risulta a "l' Espresso", l' asticella per Sk Capital si ferma al 20 per cento. Significa non poter mettere sul piatto più di 300 milioni di dollari.
Il problema è che Versalis costa molto di più: stando alle valutazioni emerse finora, il suo 70 per cento vale circa 1,2 miliardi di euro. Che fare, dunque? Le ipotesi sul tavolo, in teoria, sono due. O Eni si accolla il debito di Versalis - che a fine 2015 ammontava a circa 1,5 miliardi di euro - e vende il 70 per cento della sua controllata a Sk Capital, per una cifra che gli analisti stimano inferiore a 300 milioni di euro.
Oppure è la multinazionale italiana a dover pagare il fondo americano per prendersi Versalis con tutto il suo debito, al quale dovrebbero aggiungersi i finanziamenti bancari necessari per il piano d' investimenti da 1,2 miliardi. Eni e Sk Capital non hanno voluto fornire dettagli su questi aspetti.
Di sicuro, se l' operazione andrà in porto, Versalis si ritroverà con un nuovo azionista di controllo, non più un' azienda di Stato italiana ma un fondo americano. Che potrebbe scegliere di imboccare la strada più semplice per inseguire il proprio profitto: tagliare i costi, aumentare la produttività e, dopo i primi anni, vendere le attività più redditizie di Versalis.
Scenari che rischiano di preoccupare non poco i lavoratori. Dei quali, in caso di perdita del posto, si dovrebbe far carico almeno per qualche tempo lo Stato italiano. Lo stesso che tramite Eni oggi sta per vendere Versalis. A guadagnarci, invece, sarebbe soprattutto Sk Capital.
E il suo advisor, Rothschild, che ha ingaggiato come vice presidente proprio un italiano: l' ex numero uno di Eni, Paolo Scaroni, sotto la cui ala protettrice è cresciuto l' attuale amministratore delegato del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi.
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