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Federico Rampini per il “Corriere della Sera”
Il prossimo inverno «non sarà semplice per l'Italia», le tensioni sui prezzi saranno «molto pesanti, faranno male alle famiglie e all'industria», se non passa a Bruxelles la proposta Draghi di un tetto al prezzo del gas.
PUTIN E I RUBLINETTI - BY EMILIANO CARLI
Lo dice a New York l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi. I messaggi che lancia non sono rassicuranti sul breve termine. Le opposizioni a quell'idea del governo italiano restano forti, perché altri soggetti europei ricavano dei guadagni da un sistema dei prezzi «pieno di distorsioni».
E' lì che si concentra la sofferenza immediata: «Abbiamo un problema di prezzi, non di volumi, perché l'offerta di gas c'è». Nel medio periodo la prospettiva migliora, secondo Descalzi «l'obiettivo del ministro Cingolani di sostituire tutto il gas russo in due anni è mezzo è realistico». Ci aiuta il fatto che l'Eni possiede riserve di gas in molti paesi tra cui Egitto Libia Algeria Ghana Congo Indonesia. Non deve quindi andare a comprare gas altrui, deve «negoziare i permessi per trasportarlo» verso l'Italia.
roberto cingolani luigi di maio mario draghi in algeria
Spingendo lo sguardo ancora più avanti, il chief executive dell'Eni intravvede un futuro migliore. La ragione della sua visita negli Stati Uniti è un sopralluogo presso un impianto pilota della fusione nucleare: il Commonwealth Fusion System (Cfs), un progetto nato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) con l'appoggio del governo federale Usa, e di cui l'Eni è il maggiore azionista privato. Il prototipo sarà operativo nel 2025, l'impianto industriale seguirà nel 2030, a partire da quell'anno Descalzi si aspetta che la fusione nucleare possa conoscere una diffusione importante.
claudio descalzi con il presidente di sonatrach, toufik hakkar
Cominciando da Stati Uniti e Regno Unito, i due paesi all'avanguardia su questo terreno. «Il Congresso di Washington ci crede e vuole destinare fondi importanti alla fusione». La fusione «è il contrario della fissione», sottolinea, ricordando che questa nuova tecnologia «non genera radioattività, non produce scorie». Ha costi bassi, usa come materia prima l'acqua «pesante», cioè non distillata: anche quella di mare. E la consuma in piccole quantità, «da una bottiglia può generare 250 megawatt in un anno».
L'investimento iniziale non è enorme, un miliardo per il prototipo, e se si dovesse andare verso tante repliche i costi scenderebbero ancora. «Il mondo non sarebbe più diviso tra chi ha e chi non ha accesso a risorse rare, che siano il petrolio o il gas o i minerali per le batterie dell'auto elettrica. L'acqua pesante ce l'hanno tutti. Le centrali sarebbero piccole.
L'elettrificazione low cost diventerebbe accessibile perfino alle zone più povere dell'Africa, dove per centinaia di milioni di persone la corrente è ancora un lusso. Avremmo centrali piccole, diffuse, alla portata di chi finora è dipendente dalle materie prime altrui».
L'orizzonte 2030 può sembrarci lontanissimo mentre siamo alle prese con la tragedia ucraina, «ma se non vogliamo restare al gelo nell'inverno del 2030 è oggi che dobbiamo cominciare a prepararci». Se gli Stati Uniti e il Regno Unito cominceranno a costruire centrali a fusione nucleare, cadrà la resistenza degli italiani, dei tedeschi, dei giapponesi? Descalzi è convinto che «se la fusione mantiene le promesse, se funziona, tutti i paesi vorranno averla, i costi bassi insieme all'assenza di radioattività saranno un argomento irresistibile».
Il chief executive della multinazionale italiana ha notato una novità nell'atteggiamento dei suoi azionisti Usa. Ancora all'inizio del 2021 volevano parlare solo di sostenibilità e rinnovabili. Già nell'estate scorsa - quando ebbe inizio lo shock energetico, mesi prima dell'aggressione russa all'Ucraina - di colpo tutti sono tornati a preoccuparsi per la scarsità dell'offerta di energie fossili.
VLADIMIR PUTIN E IL GAS luigi di maio claudio descalzi in algeriafusione nucleare 5descalzi premio atlantic councilMARIO DRAGHI ROBERTO CINGOLANI
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