NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
Giampiero Gramaglia per âIl Fatto Quotidiano'
Continua la diaspora delle grandi firme dal giornalismo più tradizionale e, anche negli Usa, più paludato, quella della carta stampata e delle testate per antonomasia âautorevoli'. Bill Keller, direttore del New York Times dal 2003 al 2011, attualmente editorialista, lascia il giornale dopo trent'anni.
Keller, 65 anni, vinse il Pulitzer nel 1988 per le corrispondenze da Mosca, dove raccontò la glasnost di Gorbaciov e, poi, le vicende che nel giro di 3 anni portarono al crollo del Muro, al disfacimento dell'Impero sovietico, allo smembramento dell'Urss.
Più che dirigere, a Keller piace scrivere: nel 2011, lasciò a Jill Abramson, una donna, la direzione della Old Gray Lady, come il NYT è affettuosamente chiamato dai suoi lettori, e annunciò che sarebbe tornato a scrivere a tempo pieno.
E continuerà a scrivere anche ora, guidando e animando una nuova testata no-profit, The Marshall Project e che intende occuparsi della criminalità e della giustizia: start up di prestigio, sul modello di ProPublica, sito dedicato alle investigative news, fondato dall'ex direttore del Wall Street Journal Paul Steiger e divenuto nel 2011 il primo media online a vincere il Pulitzer.
à lo stesso modello cui s'ispira l'International Consortium of Investigative Journalists (Icij), che è una costola del Center for Public Integrity e che si autodefinisce "il miglior team transnazionale al mondo del giornalismo d'inchiesta".
L'addio di Keller alla carta stampata segue quello di altri famosi giornalisti: negli Usa, li chiamano brand journalists, sono più che grandi firme, hanno nomi capaci di rendere da soli credibile un'iniziativa editoriale. Fra quelli che hanno lasciato testate prestigiose per mettersi in proprio, Glenn Greenwald, ex del Guardian, filtro tra la âtalpa' del Datagate Edward Snowden e il grande pubblico, passato a dirigere il nuovo sito anti-segreti finanziato dal fondatore di eBay Pierre Omidyar; Nate Silver, sempre NYT; ed Ezra Klein, del Washington Post, che ha puntato su un nuovo progetto editoriale finanziato dal gruppo Vox.
Obiettivo comune è cercare e creare alternative all'informazione tradizionale, ma anche a come viene fatta l'informazione online, una nuova frontiera del giornalismo il cui terreno va ancora scoperto ed esplorato. Molteplici le formule finora tentate: dai siti alla DrudgeReport, che danno risonanza a notizie altrui e le condiscono ogni tanto con una propria âchicca', a forme di quotidiano online evolute, come l'Huffington Post; dai blogger che nascono come aspiranti opinion leader e diventano opinion maker - prototipo: politico.com - alle start up da citizens journalists sempre alla ricerca di una faticosa legittimazione editoriale e imprenditoriale.
Intanto, le testate tradizionali hanno superato la fase della banale trasposizione del prodotto cartaceo sul web e si sono attrezzate ai modi e ai tempi dell'informazione in divenire, che anticipa il prodotto cartaceo e lo batte per la tempestività delle notizie e la varietà degli argomenti;
Alcune iniziative nascono autonome (e, magari, diventano poi parte di progetti editoriali più vasti; o, muoiono). Altre partono già inserite in conglomerati dell'informazione. Altre, ora, scelgono la strada molto americana del no profit, fidando in sponsor disinteressati e munifici, magari attirati dalla credibilità e dal prestigio di grandi firme (e Steiger e Keller sono due ottimi âtestimonial').
E, infine, anche nel panorama puritano americano, non mancano le âfabbriche di marchette', cui noi siamo assuefatti. Keller aveva avuto qualche problema con il NYT per una rubrica dedicata alla "buona morte".
Ma non pare che la decisione sia frutto dello screzio: l'editorialista, che lascerà ai primi di marzo, è stato attirato da The Marshall Project, creato nel 2013 da Neil Barsky, ex giornalista del WSJ, divenuto money manager a Wall Street. Il sito, in costruzione, dovrebbe debuttare a metà anno. Come per ProPublica, i fondi dovrebbero venire da fondazioni e donatori: budget previsto, 5 milioni di dollari l'anno, per uno staff di una trentina di persone.
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