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Ettore Livini per la Repubblica
La guerra fredda tra Ue e Fmi (sommata a una raffica di delicatissime elezioni in Europa) torna a far aleggiare su Atene lo spettro della Grexit. A dar fuoco alle polveri è stato ieri il Fondo Monetario Internazionale, mettendo nero su bianco le condizioni per continuare a partecipare al salvataggio. E l’asticella, soprattutto per la Germania e i falchi del rigore, è altissima: «La Grecia non è nelle condizioni di varare nuovi tagli dopo l’impressionante correzione fiscale degli ultimi anni», ha scritto il board di Washington in un documento approvato (un inedito) a maggioranza.
I costi sociali dell’austerity «sono stati pesanti », ha aggiunto, e povertà e disoccupazione «hanno rallentato l’attuazione delle riforme». Morale: l’obiettivo imposto dai creditori in cambio degli ultimi 86 miliardi di aiuti – un avanzo primario del 3,5% del Pil – «non sarà raggiunto». E ora serve «un taglio sostanzioso del debito per garantire la sostenibilità del piano di aiuti». Argomento tabù in Germania, almeno fino al voto in autunno.
La risposta di Bruxelles è arrivata a stretto giro di posta: «Sono sorpreso dalla durezza del rapporto – ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem -. Atene sta meglio di quanto dica l’Fmi e il debito non può essere cancellato, al massimo ridotto se Tsipras terrà un atteggiamento costruttivo».
La frittata però ormai è fatta. E la guerra di nervi tra i creditori rischia di precipitare nel caos la situazione ellenica. Senza una decisa sforbiciata ai 330 miliardi di esposizione della Grecia il Fondo potrebbe farsi da parte. Anche perché i paesi emergenti – e forse ora pure gli Usa di Donald Trump – non hanno mai visto di buon occhio i miliardi messi sul piatto per salvare il paese. E l’addio di Washington rischia di far saltare il banco. «Senza Fmi il salvataggio si chiude», ha detto tranchant il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Scaheuble.
I tempi per trovare un’intesa sono molto stretti. L’Eurogruppo del 20 febbraio avrebbe dovuto dare semaforo verde alla nuova fase del programma di sostegno al Partenone, girando ad Atene i soldi necessari a pagare (agli stessi creditori) 7 miliardi di debito in scadenza a luglio. Visti gli stracci che volano in queste ore, però, le speranze di trovare la quadra sono ridotte al lumicino.
Bruxelles ha provato a passare il cerino al Governo Tsipras, il vaso di coccio della situazione, chiedendogli (con il tacito assenso dell’Fmi) di approvare subito nuovi tagli a pensioni e welfare da attuare dopo il 2018 per centrare i target. Il premier però – già un po’ in ritardo sulle riforme che avrebbe dovuto chiudere a fine 2016 e in caduta libera nei sondaggi - ha risposto picche: «Non imporrò ai miei concittadini un euro di austerità in più di quella concordata».
Se il 20 febbraio non arriveranno i soldi, la situazione rischia di ingarbugliarsi rapidamente. L’appuntamento successivo per sbloccare l’impasse, causa elezioni in Olanda e Francia, sarebbe a maggio. Molto vicino alla data in cui vanno rimborsati i 7 miliardi e alla vigilia delle elezioni tedesche.
Tsipras, dice il tam tam in Grecia, potrebbe provare a sbloccare la situazione mettendo sul piatto qualche concessione, abbassando forse la soglia di esenzione fiscale. Qualcuno (lui nega) teme che il premier – di fronte al rischio di dover fare nuove concessioni ai creditori - possa sparigliare le carte portando Atene ad elezioni anticipate. E l’allarme Grexit ha ripreso a mandare in fibrillazione pure i mercati: il rendimento dei bond ellenici a due anni – che fino a due settimane fa viaggiava al 6,5% - ha sfiorato ieri il 10%. Livelli da allarme rosso che non si vedevano da molti mesi.
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