DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Paolo Mastrolilli per “La Stampa”
WARREN BUFFETT ARRIVA ALLA ALLEN CONFERENCE jpeg
Tutto è chiaro: la catena americana Burger King compra quella canadese Tim Horton, per trasferire i suoi ricavi oltre confine e pagare meno tasse. Tra i suoi investitori c’è anche l’esperto Warren Buffett, ottantaquattrenne Chief executive officer di Berkshire Hathaway, e quindi ogni cosa si spiega: è la solita operazione degli squali di Wall Street, che sanno spremere dollari anche dalle pietre.
Poi però uno guarda meglio, e scopre che il ceo di Burger King, Daniel Schwartz, ha appena 33 anni. Il suo Chief financial officer, Joshua Kobza, ne ha 28, e il capo delle relazioni con gli investitori, Sami Siddiqui, ne ha 29. Cos’è, un’antica catena di hamburger, o una start up della Silicon Valley? Una compagnia da 9 miliardi di dollari, guidata da ragazzini?
Burger King era nata a Miami negli Anni Cinquanta, e nel 1957 aveva lanciato il “Whopper”, che l’aveva consolidata come credibile concorrente di McDonald’s. Poi però era seguita una lunga serie di errori manageriali, e il sogno di diventare leader del settore era svanito. Nell’ottobre del 2010 la compagnia è stata acquistata dal fondo privato di investimenti brasiliano 3G Capital, guidato dal miliardario Jorge Paulo Lemann, che ha 74 anni, ma la passione per scommettere sui manager in erba.
Lemann sostiene che la capacità di leadership non sta solo nell’esperienza, ma anche o soprattutto nella creatività, che si trova più facilmente tra i giovani. Quindi come ceo aveva scelto Bernardo Hees, 41 anni, affiancato da Schwartz. Quando poi Hees è passato a guidare la Heinz, Daniel è subentrato come capo.
BERNARDO HEES E DANIEL SCHWARTZ A WALL STREET
Schwartz è cresciuto a Long Island, alle porte di New York, e ha studiato alla Cornell University. Quando era entrato a Burger King non sapeva nulla di fast food, perché prima aveva lavorato solo in finanza, ma si era rimboccato le maniche, passando diversi giorni in un ristorante di Miami per pulire i bagni e preparare sandwich: secondo i colleghi, aveva imparato a fare uno “Whopper” in 35 secondi.
I VERTICI DI BURGER KING A WALL STREET
Quell’esperienza sul terreno gli ha consentito di capire meglio dove e come intervenire. Come prima cosa, ha puntato sulla riduzione dei costi, riducendo il personale e le spese. In questo quadro ha lanciato un’operazione rivoluzionaria rispetto ai concorrenti, vendendo quasi tutti i ristoranti posseduti dalla catena. Così Burger King è diventato soprattutto un marchio che incassa royalties, eliminando i costi relativi alla gestione dei dipendenti e alla ristrutturazione dei locali.
Nello stesso tempo Daniel ha cercato di cambiare la mentalità del personale rimasto, spostandola verso il concetto dell’ownership: chiunque lavora per noi è in parte proprietario della compagnia, e ha un interesse diretto a tutelare i suoi soldi e le sue operazioni. Quindi è intervenuto sui menù, che durante l’esperienza dietro al bancone a Miami gli erano parsi troppo complicati. Li ha semplificati, inserendo nuovi prodotti tipo le insalate, ma più facili da preparare e più profittevoli. Il risultato è quello che si è visto in Borsa, dove il valore delle azioni di Burger King è salito di quasi il 60%, da quando Schwartz è diventato ceo.
Gli analisti più scettici dicono che dietro a questa strategia c’è comunque la mentalità del finanziere, che invece di produrre si preoccupa di come strizzare il suo straccio, in modo da farne uscire più profitti possibili. L’operazione Canada ne è un esempio. Altri, però, si chiedono quando McDonald’s comincerà a seguire l’esempio del ragazzino.
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