“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Saranno gli eredi della Ferrari ad aggiudicarsi la prima «Ferrari del mare». Non clienti arabi, russi o cinesi ma italiani doc. Sarà infatti Piero Ferrari, figlio di The Drake, l’armatore del primo super yacht Riva 50 metri, varato nel cantiere di Ancona della Ferretti a marzo.
Se tutto sarà confermato, avrà le chiavi a fine giugno, subito dopo la chiusura del Salone nautico all’Arsenale di Venezia. E lo ha battezzato Race, non solo perché corre veloce sul mare. Race è infatti il ticker symbol della Rossa alla Borsa di Wall Street. I legami di lavoro sono senza dubbio stati il motore di questa scelta, visto che Ferrari, una grande passione per aerei e barche, è vice presidente del gruppo Ferretti ma soprattutto ne è il secondo azionista con il 13,2% alle spalle della cinese Weichai che dal 2012 possiede il resto del capitale. È anche membro del Comitato strategico legato al prodotto di Ferretti group.
Il mandato alle banche
Ma l’acquisto è anche una mossa simbolica. I super yacht 50 metri che portano lo storico marchio lanciato da Carlo Riva a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 saranno infatti uno dei motori della crescita futura del gruppo nautico di Forlì guidato dall’amministratore delegato Alberto Galassi.
Tutta la prima linea del gruppo è impegnata a disegnare il nuovo piano industriale al 2022 del gruppo che possiede sei cantieri navali, tutti in Italia, 1500 addetti e otto marchi. Da Ferretti e Riva — il motoscafo dei vip, un tempo Brigitte Bardot o Kirk Douglas, oggi Elton John o Ibrahimovic — a Pershing, CRN, Custom Line, Itama, Mochi e da pochi mesi anche Wally. L’intenzione è di replicare la crescita e gli investimenti che hanno caratterizzato il vecchio piano, quello chesi è concluso alla fine dello scorso anno. E che ha traghettato il gruppo a quota 669 milioni di ricavi, un ebitda pari a 53 milioni e utili netti pari a 31 milioni ( in crescita del 29% nel 2018).
Il punto di partenza per la nuova fase di crescita ha radici nel portafoglio ordini di 708 milioni dei quali 548 milioni raccolti nel 2018, cresciuti con un ritmo del 15% superiore rispetto al budget fissato. Nel 2012 molti osservatori descrivevano il gruppo Ferretti sulla via del tramonto dopo l’acquisizione da parte dei cinesi di Weichai, il gruppo cinese che ha traghettato Ferretti oltre la grande crisi e ha disegnato il salvataggio di Ferretti. Ora il socio dell’Impero di mezzo guarda alla quotazione in Borsa, con un mandato non ancora formalizzato, a Barclays, Bnl-Bnp Paribas e Ubs. Un pool che nel caso in cui il piano venga confermato, dovrebbe essere ampliato a grandi banche italiane
È possibile che nel piano industriale compaiano anche altre novità. «Il 24 maggio saranno cinque anni dal mio ingresso nel gruppo Ferretti e vorremmo entrare in settori complementari attraverso acquisizioni o crescita interna», spiega Galassi che guarda a settori come i servizi e la tecnologia. «È tutto pronto. Se domattina Weichai dovesse premere il bottone start noi attiveremmo la Quick reaction alert, l’azione rapida su allarme delle forze della Difesa aerea, dice Galassi —. Ormai la società da otto mesi si comporta da società quotata. Abbiamo rafforzato il management, affinato la governance e implementato il sistema di audit delle aziende al listino. Il futuro potrebbe essere in Borsa ma non si esclude l’ingresso di un nuovo partner. Dipenderà da che cosa decidono i soci».
L’atelier
L’idea è di presentare ai mercati un «atelier» di brand del lusso che strizza l’occhio a Lvmh. Mancano gli ultimi ritocchi per definire la nuova struttura finanziaria più adatta a un gruppo che si confronterà con i mercati. La direzione finanza è impegnata a ridisegnare l’architettura delle fonti finanziamento che ancora rispecchia l’intervento di emergenza fatto da Weichai nel 2012, quando aveva acceso un prestito soci di circa 250 milioni. O si converte in nuove azioni — in pratica con un aumento di capitale — o si trasforma in un finanziamento a medio termine a disposizione dei piani di crescita del gruppo. Il resto dell’esposizione è costituito da 110 milioni di linee di credito a fronte di 40 milioni di cassa. È l’ultimo passaggio in vista degli assetti futuri che potrebbero prendere corpo dopo l’estate in un comparto, quello nautico, che ha ritrovato nuovo slancio e vede anche un altro protagonista come i cantieri Sanlorenzo, fare rotta verso Piazza Affari.
«È chiaro che il settore non tornerà più ai livelli pre-crisi, dice Galassi —. In quegli anni il mercato era drogato dalla facilità di accesso al credito bancario e dal fatto che i bilanci delle aziende della nautica erano fatti con le vendite ai dealer che poi a loro volta dovevano smaltire gli stock. Ora il gruppo vende in 80 Paesi ma solo ai clienti finali. All’epoca fatturava un miliardo ma aveva anche un miliardo di debiti». Poi c’è la new entry del marchio di yacht a vela e motore Wally, nella quale il gruppo impegnerà 84 milioni tra acquisto, nuovi modelli e investimento nel nuovo cantiere ancora da identificare tra Tirreno (partita non facile) e Adriatico.
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