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Walter Rauhe per La Stampa
E' tempo di manette eccellenti in Germania per il Dieselgate. Nell' ambito delle indagini sulle responsabilità dello scandalo emissioni in casa Volkswagen sono scattate ieri per la prima volta le manette nei confronti di un amministratore delegato ancora in carica: Rupert Stadler, 55 anni, amministratore delegato di Audi. Il manager è alla guida del marchio premium di Ingolstadt dal 2007 e dal 2010 è membro del consiglio di amministrazione del gruppo Volkswagen.
A emettere il mandato di cattura è stata la procura di Monaco di Baviera che già da due anni coordina le indagini tedesche nell' ambito del Dieselgate e che appena la scorsa settimana aveva ordinato a sorpresa la perquisizione degli uffici e delle abitazioni private dell' amministratore delegato di Audi e quelle di un altro manager del costruttore di Ingolstadt. A sostituire Stadler alla guida di Audi sarà l' attuale direttore commerciale, Bram Schot, olandese, che assumerà l' incarico ad interim.
Poi si pronuncerà il Consiglio di sorveglianza.
Stadler è stato inserito nella lista ufficiale degli indagati e viene accusato di frode ed emissione di certificati falsi. Il sospetto della procura - a quanto pare confermato dalle ultime prove sequestrate nel corso delle perquisizioni della scorsa settimana - è che il numero uno di Audi sia stato al corrente delle manipolazioni dei livelli reali delle emissioni di gas inquinanti delle vetture diesel nel corso dei test in officina ben prima di quanto aveva ammesso finora e che abbia cancellato alcune importanti prove a riguardo.
Citando indiscrezioni non ancora confermate, diversi siti online tedeschi sostengono che a incastrare Rupert Stadler sarebbe stata una mail del 2015, nella quale il ceo di Audi è stato messo al corrente dell' esistenza di un software illegale installato a bordo di milioni di vetture diesel del gruppo proprio con lo scopo di ridurre il livello reale dei gas di scarico durante le prove tecniche in officina. Secondo la procura di Monaco di Baviera, Stadler, che ha invece sempre negato di essere stato a conoscenza delle manipolazioni prima dello scoppio dello scandalo nell' autunno del 2015, non solo sapeva, ma non avrebbe fatto nulla per bloccare successivamente la produzione e la vendita delle vetture ancora dotate del dispositivo incriminato.
La procura ha così emesso un mandato di cattura nei confronti di Stadler giustificandolo col pericolo di un eventuale occultamento da parte sua delle prove e di una fuga all' estero. Un giudice del tribunale monacense ha poi convalidato il fermo del top manager che è stato trasferito in un carcere giudiziario.
Con l' arresto eccellente di ieri si vanificano tutti i tentativi intrapresi finora dai vertici di Volkswagen di voltare pagina e di archiviare una volta per tutte l' imbarazzante scandalo. Il Dieselgate è già costato il posto a 2 amministratori delegati del gruppo. Martin Winterkorn, costretto alle dimissioni nel settembre del 2015, incriminato l' anno scorso per frode dalla procura tedesca e dal 3 maggio scorso ricercato con un mandato di cattura internazionale dalle autorità federali degli Stati Uniti.
martin winterkorn amministratore delegato volkswagen
E poi Matthias Müller, costretto alle dimissioni lo scorso 30 aprile e sostituito alla guida di Volkswagen dal manager preferito dalle dinastie Piech e Porsche, proprietarie del principale pacchetto azionario del gruppo, Herbert Diess. Lo scandalo che ha coinvolto complessivamente 10,7 milioni di vetture, è costato finora alla casa di Wolfsburg qualcosa come 26 miliardi di euro solo sotto forma di multe, risarcimenti e richiami in fabbrica, gran parte dei quali (25 miliardi) negli Stati Uniti. In Europa invece gli acquirenti di modelli della casa tedesca hanno ottenuto soltanto l' aggiornamento del software incriminato, ma non hanno avuto nessun rimborso. La scorsa settimana la procura di Braunschweig aveva inflitto a Volkswagen una multa di 1 miliardo di euro.
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