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Giorgio Meletti per il "Fatto quotidiano"
In attesa che Il Monte dei Paschi torni a sganciare i contributi per il Palio, a Siena si intrattengono con il "torello", gioco tipico dei calciatori in allenamento. Ci si mette in cerchio e ci si passa vorticosamente la palla mentre uno in mezzo, il torello, cerca di intercettarla. Il problema è che sono bravissimi.
Dice per esempio Alessandro Profumo che a lui la presidenza del Monte dei Paschi l'ha offerta, all'inizio del 2012, l'allora sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi. Sostiene invece Ceccuzzi che Profumo l'ha scelto la Fondazione Mps, azionista di controllo della banca. Quello che il responsabile economico Pd, Stefano Fassina, chiama il management.
Il torello corre dunque verso il presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, e scopre che cotanto manager risulta ragioniere presso la Usl 19 di Poggibonsi, ma già segretario provinciale della Dc senese durante la prima Repubblica. Chi ha nominato Mancini? Il sindaco di Siena, che era un funzionario del Monte, Maurizio Cenni, quando Ceccuzzi era segretario provinciale dei Ds. Mancini ha preso il posto di Giuseppe Mussari, passato alla presidenza della Banca nel 2006, chiarendo che lui di mestiere faceva il penalista e di banche non ne sapeva niente: un altro manager.
E quindi, chi ha sfasciato il Monte? Mussari ovviamente. Ha fatto tutto da solo. Quando ha pagato 10 miliardi l'Antonveneta che ne valeva poco più di due, Ceccuzzi, nel 2007 deputato Pd, apprese la notizia dalle agenzie di stampa, adesso racconta. Non ne sapeva niente.
E siccome i politici amano pontificare su cose che non sanno, forse fu questo istinto a spingerlo a lodare il suo vecchio amico Mussari, che aveva agguantato la preda "con abile discrezione, forte determinazione e coraggio", ponendosi come "fulgido tito di puri? L'altra scommessa è su Profumo. Il quale ha accettato di guidare il Monte senza immaginare quanta polvere avevano buttato sotto i tappeti di Rocca Salimbeni, e chiarendo proprio a Ceccuzzi che con lui la banca non sarebbe più stata il bancomat dei politici senesi.
Adesso però il gioco è cambiato, e siccome con gli ispettori della Banca d'Italia e con la Guardia di Finanza il gioco del torello non si può fare più di tanto, perché quelli si stancano, all'improvviso saltano fuori le carte segrete dalle casseforti segrete. Anche perché qui, come suol dirsi, si va sul penale.
Per i politici senesi è una specie di dilemma del prigioniero. Hanno capito che Profumo ormai considera il suo azionista di riferimento non più la Fondazione Mps ma direttamente la Banca d'Italia. Però l'unica speranza di salvare un po' del potere della loro Fondazione è lasciar lavorare Profumo e l'amministratore delegato Fabrizio Viola. Scommettendo su un po' di buonasorte.
Se va bene, infatti, può bastare l'aumento di capitale da 1 miliardo programmato nel piano industriale fino al 2015, con il quale la Fondazione, ormai con le pezze al sedere, si diluirebbe al 15-20 per cento del capitale. Se va poco meno di bene non ci saranno i soldi per restituire allo Stato i 6 miliardi (tra capitale e interessi) dei Monti-Bond. E il Monte sarà nazionalizzato: cioè i contribuenti pagheranno il conto per le follie senesi di cui la politica, naturalmente, niente sapeva.
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