mark zuckerberg meta facebook

LA “META” A CUI VUOLE ARRIVARE ZUCKERBERG È SEMPRE LA STESSA: SAPERE TUTTO DI NOI - RAMPINI SPIEGA LE RAGIONI DIETRO AL "METAVERSO" DI FACEBOOK: “PER ADESSO NE VEDIAMO FRAMMENTI SPARSI. ZUCKERBERG VUOLE COMPORRE IL MOSAICO INTERO, E PADRONEGGIARNE GLI ACCESSI. MA QUANDO ESALTA IL NUOVO MONDO SORVOLA SUI RISCHI” - LA PRIVACY, MA NON SOLO: “SE LA REALTÀ VIRTUALE DIVENTA UN VIDEOGAME MOLTIPLICATO ALL'INFINITO, FINO A RISUCCHIARE BUONA PARTE DELLE NOSTRE VITE, ALTRI PERICOLI BALZERANNO IN PRIMO PIANO: COME I DANNI ALLA SALUTE MENTALE…”

Federico Rampini per il “Corriere della Sera”

 

FEDERICO RAMPINI

Mark Zuckerberg aveva vent' anni quando nel pensionato universitario di Harvard immaginò il social network. Era il 2004, non esistevano ancora gli smartphone. Pochi lo presero sul serio. Tre miliardi di utenti dopo, Zuckerberg ha una nuova visione. Cambia nome a Facebook che diventa Meta (dal greco «oltre»), sdoppia la sua creatura, e punta a dominare il mondo del futuro: la realtà virtuale. «Metaverse» è l'universo-oltre.

 

Ce lo descrive come «un luogo dove giocare, comprare beni virtuali, collezionare arte virtuale, trascorrere il tempo libero con i sosia virtuali (avatar) degli altri, e partecipare a riunioni di lavoro sempre virtuali». L'annuncio coincide con una grave crisi d'immagine di Facebook, bombardata di accuse per non aver vigilato abbastanza contro fake news, ideologie violente, aggressioni e odio che dilagano sul social media.

 

mark zuckerberg annuncia meta il nuovo nome di facebook

Nelle rivelazioni che intitola Facebook Files, il Wall Street Journal riferisce anche di uno studio interno all'azienda secondo cui «un utente su otto fa un uso compulsivo del social media con effetti sul sonno, il lavoro, i rapporti con i figli o le relazioni sociali». Sui media americani un coro di scettici ha liquidato la metamorfosi come un trucco per distogliere l'attenzione dalle polemiche.

 

Però sulla realtà virtuale il 37enne miliardario più famoso del pianeta aveva già messo al lavoro da tempo diecimila ingegneri. Ora ne assumerà altrettanti (gran parte in Europa), e investirà dieci miliardi di dollari. Facebook stava già conducendo una campagna acquisti in questo settore, assicurandosi il controllo di molte startup innovative.

MARK ZUCKERBERG METAVERSE

 

Una occupazione del territorio, in vista della prossima rivoluzione digitale? «Realtà virtuale»: immaginarne l'espansione evoca una distopia post Covid, un mondo asettico che cancella ogni contatto fisico. O magari una utopia ambientalista che elimini ogni mobilità fisica per azzerare le emissioni carboniche.

 

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In alcuni scenari estremi affiora la pulsione verso qualche forma di immortalità: trasferendo caratteri e funzioni ai nostri avatar, riusciremo a custodire in queste creature virtuali ciò che il deperimento fisico distrugge? La fantascienza gioca con queste visioni da decenni. Di fatto la tecnologia che crea un ambiente virtuale è già onnipresente. Un avatar (termine preso in prestito dall'incarnazione delle divinità induiste), è la rappresentazione grafica di noi stessi, proiettata nel mondo digitale.

 

Architetti e costruttori fanno ampio ricorso a un mondo virtuale per progettare edifici. I militari combattono guerre simulate, wargame . Le applicazioni della realtà virtuale alla cura dell'Alzheimer sono in corso da anni. Il cinema sostituisce comparse e figuranti con dei sosia grafici (costano meno) e il film ibrido «Avatar» (regia di James Cameron, 2009) appartiene alla preistoria di questo genere.

 

Facebook Metaverso 4

Las Vegas ha inaugurato i concerti «live» di Whitney Houston, in scena si esibisce l'ologramma tridimensionale della cantante morta nove anni fa. Per gli appassionati di videogame incarnarsi nella propria identità digitale è parte del gioco. Il boom delle criptovalute che non hanno incarnazione materiale, asseconda lo sviluppo di un universo parallelo a quello fisico.

 

La banalizzazione della realtà virtuale è a portata di mano nel commercio: per acquistare abbigliamento e calzature online, faremo provare i prodotti al nostro avatar, che ha le nostre misure fisiche. In America i consumatori Millennial hanno imparato a decidere l'acquisto di un mobile, un arredo, una cucina, simulandone il montaggio dentro la copia virtuale della propria abitazione.

 

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Una ricerca compiuta in Germania elenca settori pronti ad essere trasformati dalla realtà virtuale: commercio, manifattura (in particolare l'industria dell'auto), servizi informatici, spettacoli, istruzione. A scuola si può immaginare un corso di storia in cui i ragazzi manovrano i loro sosia digitali in una replica dell'antica Roma; imparano la geografia grazie ai loro avatar che viaggiano virtualmente. Per adesso vediamo frammenti sparsi di quello che potrà diventare un meta-universo onnicomprensivo.

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Zuckerberg vuole comporre il mosaico intero, e padroneggiarne gli accessi. Quando Zuckerberg esalta il Nuovo Mondo dove potremo lavorare, fare acquisti, giocare come in quello reale», sorvola sui rischi. La sua Meta incontrerà gli stessi problemi di Facebook. Come tutelare la privacy e la sicurezza dei dati.

 

Se la realtà virtuale diventa un luogo di fuga, un videogame moltiplicato all'infinito, fino a risucchiare buona parte delle nostre vite, altri pericoli balzeranno in primo piano: come i danni alla salute mentale. Il fondatore di Facebook si concentra sulle opportunità. Nella costruzione di questo nuovo ecosistema, di questo Internet parallelo, può venderci già una parte dell'hardware, strumenti ottici come l'headset Oculus per farci trasportare nella realtà virtuale.

 

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Sotto la denominazione Meta potrebbero nascere presto negozi fisici che venderanno apparecchi ottici elaborati dalla divisione Reality Labs, per assuefarci a frequentare l'universo «oltre». Zuckerberg assegna a Meta una missione strategica: fermare l'esodo dei giovani, problema esistenziale che affligge Facebook. Proiettato verso il successo iniziale da adolescenti e ventenni, oggi il social media vive su un pubblico sempre più maturo mentre le nuove generazioni migrano verso TikTok, Snapchat.

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Un'altra chiave di lettura dietro la nascita di Meta è tecnologica. Oggi il social media dipende da piattaforme digitali concorrenti, cioè Apple per gli iPhone e il software Android per tutto l'ecosistema Google. Si è visto il prezzo di questa dipendenza: quando Apple ha cambiato le regole sulla privacy, ha limitato la capacità di Facebook di raccogliere dati sugli utenti. Invitandoci dentro la realtà virtuale, Zuckerberg ci sposta nell'universo di cui vuole controllare standard tecnici e coordinate.

 

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Il suo business principale resta la pubblicità (98% del fatturato) e la realtà virtuale è un nuovo spazio per la vendita. Né si può escludere una mossa difensiva verso l'antitrust. La sinistra democratica è favorevole a uno smembramento dei colossi digitali. Zuckerberg ha già sdoppiato il suo.

 

La critica prevalente liquida Meta come una fuga in avanti dettata dalla strategia di relazioni pubbliche. Frances Haugen, ex manager del social media, è la fonte di una valanga di rivelazioni. Al centro c'è la débâcle di Zuckerberg nella prevenzione di false notizie e aggressioni. I sistemi di intelligenza artificiale usati a questo fine hanno funzionato poco e male.

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Facebook ha investito col contagocce in questo campo, la manodopera umana che ha adibito a vigilanza e censura sui contenuti è insufficiente. «Ha dato la priorità ai profitti rispetto alla sicurezza delle persone e del Paese», è l'accusa risuonata nelle audizioni al Congresso.

 

Ma uno studioso di social media, Nicholas Carr, prende le distanze dall'ossessione sul loro ruolo nella lacerazione della società: è illusorio attribuirgli il compito di disciplinare il discorso pubblico, quando l'America ha perso il senso del bene comune.

 

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Un altro autore che analizza la polarizzazione culturale, David French, ricorda che gli americani non ebbero bisogno dei social per massacrarsi fra loro durante la guerra civile o per spaccarsi nelle contese valoriali degli anni Sessanta. In quanto al sogno di traghettarci dentro un meta-universo virtuale, l'esperta di tecnologie del New York Times , Shira Ovide, invita a non sottovalutarlo: «Nell'indovinare il futuro, Zuckerberg ha già avuto ragione una volta».

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