DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
1 - IL CETO MEDIO DIVISO DAL FISCO
Stefano Lepri per “La Stampa”
LA DISTRIBUZIONE DI REDDITI E IRPEF
Di «impoverimento dei ceti medi» si parla da circa due decenni. È un concetto che esprime bene ciò che molti sentono; rivela una scontentezza diffusa non più incasellabile nelle vecchie categorie del Novecento; consente di riconoscere difficoltà comuni. E loro, i ceti medi, si sentono dimenticati dalla politica, come scriveva ieri il direttore de La Stampa Massimo Giannini nel suo editoriale.
Certo, sono venuti a mancare alcuni tratti basilari del sentirsi ceto medio, come ragionevoli attese di avanzare nella carriera o di assicurare un maggior benessere ai propri figli. Poi, magari, un malessere di questo tipo lo si usa per cercare di spiegare ogni fenomeno politico di cui non si ha chiaro il perché, dal disprezzo verso la «casta» dei politici alle oscillanti scelte di voto degli ultimi anni.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Però, di che cosa stiamo parlando? La prima questione è che cosa si intende per ceto medio (quasi tutti quelli che leggono i giornali vi si sentono compresi, forse). La seconda questione è rispetto a quale parametro il ceto medio si è impoverito. In entrambi i casi le risposte possono essere diverse da Paese a Paese; diverse tra America ed Europa, diverse tra Italia e vicini del Continente.
Una terza questione, eventuale, è a vantaggio di chi il ceto medio ha sofferto. Negli Stati Uniti la destra sostiene che lo Stato spende troppo per il welfare dei poveri, la sinistra che i ricchi accumulano guadagni sempre più spropositati. Ma in Europa risposte così tagliate con l'accetta non corrispondono bene a ciò che vediamo.
Un dato di fondo divide l'Italia da tutti gli altri Paesi avanzati. A partire dalla fine del secolo scorso tutta la collettività nazionale non è diventata più ricca. Il reddito disponibile delle famiglie continua a oscillare rispetto ai valori di 30 anni fa. Se la media è zero, mentre altrove è +20%, di persone con un tenore di vita calato noi ne abbiamo molte di più.
Per forza siamo scontenti, nell'insieme.
Cerchiamo di farcene una ragione, identificando aree di sofferenza o additando i fenomeni più evidenti di iniquità, volta a volta gli alti stipendi di manager che non riescono nemmeno a far prosperare le loro aziende oppure il reddito di cittadinanza versato a chi, come è invalso l'uso di dire, resta sdraiato sul divano.
Due narrazioni diffuse, aumento delle disuguaglianze e restringimento del ceto medio, derivano da fenomeni veri constatati e misurati negli Stati Uniti. Average is over era intitolato un fortunato libro dell'economista liberista Tyler Cowen, uscito nel 2013, e intendeva proprio questo, che i ceti medi si assottigliano sempre di più. Nel continente europeo l'aumento delle disuguaglianze è stato molto meno marcato; in alcuni Paesi, come la Francia, pressoché impercettibile.
Sì, le tecnologie hanno allargato il divario di paga tra chi svolge mansioni ancora in parte manuali e chi lavora con i computer; ma da noi la consistenza della fascia bassa e della fascia alta hanno mostrato dinamiche differenti.
Per la precisione, secondo uno studio della Banca d'Italia pubblicato nel 2019, la quota di lavori manuali a basso salario è marcatamente cresciuta, quella di lavori professionali ben pagati è, al contrario di Paesi più pronti all'innovazione tecnologica, leggermente calata. La quota di impieghi a salario intermedio è scesa in modo significativo, ma le paghe relative non sono scese.
La statistica ha elaborato diversi modi di identificare le famiglie che non si possono definire né povere né ricche. Nelle versioni più diffuse la classe media abbraccia circa due terzi delle famiglie in Italia, i quattro quinti e oltre nell'Europa del Nord. Una particolare classificazione svizzera individua valori tra il 55% e il 60%. Il nostro Istat usa definizioni più complesse.
Si constata qui che i dati medi hanno un valore interpretativo limitato. Come si fa a non tener conto che rispetto ai Paesi vicini l'Italia ha più giovani disoccupati, pensioni più numerose e talvolta perfino più alte? I patrimoni delle famiglie italiane, base di un ceto medio moderno, non sono affatto bassi nel confronto internazionale. Il guaio è casomai che ai figli si riesce a regalare una casa, ma non a trovargli un lavoro ben retribuito, pur se hanno studiato con impegno.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Allora, è bene cominciare ad aggiungere caratteristiche più precise - che la politica stenta a vedere - al malessere che ci sentiamo attorno. I profitti delle imprese non sono oggi particolarmente alti; la spesa sociale è sì elevata, ma in gran parte ne beneficiano i ceti medi stessi, con la sanità pubblica, con l'istruzione pubblica, con sgravi fiscali poco mirati ai bisognosi. In alcuni campi le disuguaglianze italiane si sono allargate, ma in modo diverso da quanto vecchi schemi ci suggerirebbero.
Negli ultimi 30 anni i redditi che davvero si sono abbassati sono quelli dei giovani, con stipendi più bassi anche in caso di impiego fisso. Sono stati invece protetti i redditi degli anziani. Metà dei giovani, secondo il Censis, è sceso nella scala sociale rispetto ai genitori. Due esempi di ceto medio possono essere un commerciante e un impiegato, come si diceva un tempo, «di concetto»: il primo paga molte meno tasse, lamentandosene però più del secondo che subisce trattenute sulla busta paga a cui ha fatto l'abitudine. Può capitare che a lavori con maggior prestigio sociale corrispondano redditi più bassi. Davvero, che cosa intendiamo per ceto medio?
2 - LA POLITICA POST-POPULISTA CHE HA TRADITO IL CETO MEDIO
Estratto dell’articolo di Massimo Giannini per “La Stampa”
Nell’Italia che tribola tra povertà e disuguaglianza ci siamo dimenticati del ceto medio. Per decenni base sociale, culturale ed elettorale dei grandi partiti di massa, quella che ai tempi delle vecchie classi avremmo chiamato “piccola borghesia” ha pagato il prezzo più alto alla globalizzazione mondiale. Nei Paesi emergenti è diventato ceto medio un discreto frammento di proletariato. Nei Paesi evoluti è diventato proletario un bel pezzo di ceto medio. Ma non è scomparso. Lavora, combatte, resiste. Così oggi, in Italia, è proprio il plotone residuo di travet privati e pubblici che soffre in trincea e patisce la “malinconia” certificata dal Censis. E pur non essendo scivolato alla base della piramide sociale, ne sostiene quasi per intero i costi.
giorgia meloni giancarlo giorgetti
Colpevolmente ignorato da una destra troppo impegnata a onorare i suoi debitucci corporativi e da una sinistra troppo concentrata sulle sue pratiche di autodistruzione, l’ultimo Rapporto di Itinerari Previdenziali che abbiamo pubblicato venerdì scorso andrebbe studiato e usato come base documentale per qualunque nuovo programma di governo.
[…] L’oppressione fiscale si concentra sempre di più sui soliti noti, i dannati del reddito fisso che non possono sfuggire perché a prelevare dal lordo in busta paga provvedono le aziende in veste di sostituti d’imposta. Così, come osserva l’economista Mario Seminerio, i forzati dell’Irpef reggono un intero Paese. E per questo, alla lunga, sono forse i più propensi alla disaffezione democratica e alla diserzione delle urne.
[…] Le destre non hanno tempo per ragionare sulla questione sociale: stanno saldando la cambiale sottoscritta con le rispettive constituency prima del 25 settembre. Salvini è coerente: se vuoi prendere il caffè con la moneta elettronica, e magari vuoi persino pagare le tasse, sei semplicemente un “rompiballe”.
Meloni è ancora più coerente: per i dipendenti possono bastare 11 euro al mese in busta paga grazie al taglio del cuneo fiscale, e per il resto “siamo al fianco dei lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, liberi professionisti, figli di un dio minore che invece costituiscono un asse portante dell’economia italiana”, come ha detto nel discorso sulla fiducia in Parlamento.
ABOUBAKAR SOUMAHORO CON ELLY SCHLEIN
Per i pensionati al minimo vanno bene 60 euro di aumento, per quelli con un assegno da 2 mila euro lordi scatta il blocco di metà della rivalutazione. E poi sconti in bolletta per le famiglie più fragili, ma taglio netto dal 2024 sul Reddito di Cittadinanza per “occupabili” e working poor, che finora hanno preso il sussidio solo perché lavorando guadagnano la miseria di 3 mila euro l’anno. Un “salto nel buio” che preoccupa persino il primo banchiere italiano, cioè l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina.
Le sinistre non hanno testa per riflettere su come ricucire la tela strappata della rappresentanza: stanno pagando il prezzo al loro mesto autodafé. Da una parte Calenda e Renzi, pronti a portare farina al forno della Sorella d’Italia.
Dall’altra Giuseppe Conte, pronto a cavalcare tutte le piazze e a fare l’avvocato di qualunque popolo. In mezzo il Pd, ripiegato sul congresso più confuso e più astruso del pianeta, verosimilmente indirizzato verso un derby emiliano tra il “partito dei territori” di Stefano Bonaccini e il “partito delle soggettività” di Elly Schlein, allegramente proiettato verso un glorioso e pulviscolare futuro di nuove micro-scissioni.
Afono e atono, vaga senza sapere se un popolo ce l’ha ancora, ed eventualmente qual è. Litiga sulle tesi di Veltroni del 2007. Già che c’è, arrivi al Togliatti del 24 settembre 1946 e al suo celebre discorso di Reggio. Si intitolava, per l’appunto, “Ceto medio e Emilia Rossa”.
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