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MORETTI NON MOLLA LA POLTRONA DI FINMECCANICA: SE SI DIMETTESSE PERDEREBBE UN BEL MUCCHIO DI QUATTRINI – ATTENDE LA SCADENZA (MAGGIO) PER SLOGGIARE E PRENDERE LA LIQUIDAZIONE DA DIRETTORE GENERALE – RISPEDITA AL MITTENTE LA “MORAL SUASION” DEL GOVERNO – E SULLA STRAGE ORA CONFESSA: ''IN QUEI GIORNI FORSE SONO STATO TROPPO DURO'' (DAVANTI A 32 BARE DISSE: "UNO SPIACEVOLISSIMO INCIDENTE")

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Marco Ruffolo per la Repubblica

 

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Mauro Moretti per adesso non lascia, ma il suo addio a maggio appare sempre più probabile. «L’amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica – dicono i suoi uomini - non sta affatto per dimettersi». All’indomani della condanna per la strage di Viareggio, nessuna fonte governativa si avventura in dichiarazioni ufficiali. Al dicastero dell’Economia, principale azionista della multinazionale, con oltre il 30%, alzano le spalle: «Il ministro si sta occupando di altro, ha dossier molto più urgenti».

 

Ma se il Tesoro tace, la strategia di Palazzo Chigi si sta delineando piuttosto chiaramente: Moretti probabilmente non sarà riconfermato a maggio, quando scadrà il suo mandato. Se poi nel frattempo farà un passo indietro per senso di responsabilità, questo faciliterà le cose.

 

Il problema è che almeno per ora, questo passo indietro non sembra imminente. A meno che nelle prossime ore la moral suasion del governo non faccia breccia nel muro di Moretti. Un muro sapientemente rafforzato dalla fiducia unanime del cda di Finmeccanica, e dal dossier legale che dimostrerebbe come lui abbia ancora “tutti i requisiti previsti dalla vigente disciplina”. A cominciare da quelli di onorabilità.

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In realtà, quando l’ex ministro Saccomanni introdusse per le aziende pubbliche la clausola di onorabilità, il suo obiettivo era soprattutto quello di imporre la decadenza dei manager condannati anche in primo grado per reati come corruzione o infedeltà patrimoniale. L’omicidio colposo non fu inserito. E in ogni caso quella clausola non fu applicata a Finmeccanica, Eni e Terna: i rispettivi cda la respinsero con il contributo dei fondi esteri.

 

Già, ma qui il problema di fondo, secondo Palazzo Chigi, non è giuridico. Le norme in vigore possono anche impedire la decadenza di Moretti, ma resta il fatto che non è opportuno politicamente riconfermare un manager condannato sia pure in primo grado per un reato gravissimo, alla guida di una società pubblica tra le più strategiche per il nostro paese: difesa, aerospazio, sicurezza. Una società che tra l’altro già nei prossimi mesi dovrà affrontare sfide internazionali di grande delicatezza, come la maxigara per 350 aerei da addestramento americani, a cui Finmeccanica parteciperà senza il supporto fondamentale del partner Usa Raytheon, che ha rotto l’alleanza.....

CACCIA EurofighterCACCIA Eurofighter

 

Tutte sfide che secondo il governo solo un manager senza macchie può fronteggiare. Di segno opposto le analisi di grandi banche d’affari come Goldman Sachs, per le quali l’uomo adatto a gestire appuntamenti così difficili non può essere che lui, Mauro Moretti, il manager che ha portato Finmeccanica a più che raddoppiare in due anni il valore delle azioni, che ha innalzato l’utile sopra i 500 milioni. Anche a costo di ridimensionare i confini della multinazionale, con la cessione di settori “non core” come i trasporti.

PINOTTI MORETTI FINMECCANICA KUWAITPINOTTI MORETTI FINMECCANICA KUWAIT

 

Certo, se si dovesse valutare solo il suo operato, sarebbe difficile non riconfermarlo: questo lo sanno anche a Palazzo Chigi. Eppure in alcuni ambienti della Difesa, qualche suo progetto non è piaciuto; come quello di uscire dal consorzio europeo dei missili: metterebbe a rischio dicono gli impianti italiani e chiuderebbe le porte a un settore di grande futuro.

 

 

 

 

 

 

2. ORA DICE: “NEI GIORNI DELLA STRAGE SONO STATO TROPPO DURO"

Marco Ruffolo per la Repubblica

 

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«Il suo grande limite? Mettere da parte sempre e comunque il lato umano di ogni vicenda, limitarsi a parlare di tecniche, di efficienza, di organizzazione produttiva. Ma pensare che lui sia il responsabile di quella immensa tragedia, no, non lo crediamo». I vecchi sindacalisti con i quali Mauro Moretti incrociava le sciabole durante i lunghi anni al vertice di Ferrovie oggi lo difendono.

 

E lo accusano semmai di insensibilità: quelle due parole pronunciate in audizione al Senato pochi mesi dopo il disastro — «uno spiacevolissimo episodio» — suonano ancora come un’offesa alle trentadue famiglie travolte da un lutto inconcepibile. Anche se furono estrapolate da un discorso in cui si parlava di “vicinanza” ai parenti delle vittime. Da allora fu un crescendo di insofferenza delle comunità locali nei suoi confronti, e dalle feste Pd agli stadi di calcio salì forte la richiesta di dimissioni.

 

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La notizia della condanna, Moretti la apprende nel suo ufficio romano di Piazza Montegrappa, sede di Leonardo-Finmeccanica, la società che guida dal 2014. I giudizi sul processo sono affidati ai legali. E lui non aggiunge una sola parola. Ma l’ex patron di Rfi prima e di Ferrovie poi non può non ripensare alle reazioni che ebbe nei giorni e nei mesi dopo il disastro. «Reazioni forse troppo dure», confessa ai suoi amici più cari: «Ma di fronte a quella tragedia decisi di avere un atteggiamento molto forte per tenere insieme una società smarrita, incerta sul da farsi».

 

La durezza, del resto, sembra essere una costante caratteriale nella vita e nella carriera di questo indecifrabile self made man. Un’umile famiglia riminese alle spalle, lo studio accanito fino alla laurea in ingegneria elettrotecnica, poi l’ascesa fino alla dirigenza. Diventa anche uno dei più ascoltati sindacalisti. Duro ma responsabile. Tanto che uno dei supermanager di Fs che si succedono durante gli anni ‘80 tra un disastro finanziario e l’altro gli dà un consiglio: «Lei dovrebbe stare dalla nostra parte».

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«Forse fu quella frase a convincermi», raccontò poi Moretti. Così inizia il suo lungo viaggio al vertice di Ferrovie. E quel gigante malato, roso da oltre 2 miliardi di perdite, pieno di inefficienze, superpoliticizzato e supersindacalizzato, diventa un colosso capace di fare utili, di investire in infrastrutture e tecnologie. Anche se con l’aiuto dello Stato a garanzia del servizio universale. Anche se con una forte riduzione dei dipendenti. «Ventimila in meno - ricordano i suoi ex avversari del sindacato — noi ovviamente eravamo contrari, ma sapevamo che il taglio andava di pari passo con un rafforzamento della struttura aziendale, ed per questa ragione che non vi furono scontri epocali».

 

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Poi negli ultimi anni scatta il feeling con Matteo Renzi («fa bene a rendere il lavoro più flessibile, la sinistra intransigente è fuori dalla storia»). E arriva il salto alla guida della società pubblica più strategica, Finmeccanica: difesa, aerospazio, sicurezza.

 

Renziano, sì, ma sbaglierebbe chi pensasse a Moretti come un frequentatore di salotti mondani o di corridoi ministeriali. Il suo stile di lavoro è fatto di rigore con se stesso e con gli altri, di decisioni rapide e solitarie. Solo e unicamente nel nome dell’efficienza. I suoi dipendenti lo dipingono quasi come una sorta di moderno Savonarola. Alla guida di Ferrovie cancella subito le auto blu da 90 mila euro, le carte di credito aziendali e altri benefit. Lo stesso fa in Finmeccanica, seguendo una specie di decalogo dell’austerità aziendale. In entrambi i casi manda una lettera ai dirigenti chiedendo se abbiano parenti nelle società del gruppo.

 

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«Certo, non usava i guanti bianchi — raccontano i sindacalisti — era spigoloso, a volte scontroso. Usava i concetti come rasoiate, al limite della provocazione, agiva in modo sbrigativo senza badare alle buone maniere. Di nemici se ne sarà fatti sicuramente molti». E molti ricordano ancora il suo consiglio ai viaggiatori di fronte ai disagi provocati da fortissime nevicate nel 2010: «Si portino sul treno panini e coperte».

 

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O ricordano quando, nel mezzo della guerra contro Ntv, fece costruire una cancellata di due metri che impediva ai passeggeri di Italo di raggiungere il treno direttamente dalla biglietteria. Non si tirò indietro per sfruttare una lunga posizione privilegiata: quella di essere nelle ferrovie al tempo stesso uno dei due giocatori e l’arbitro.

 

Lavoratore indefesso, anche per venti ore al giorno: di fronte a un problema grave sulla rete, i dipendenti se lo vedevano piombare all’improvviso nella sala controllo di Piazza della Croce Rossa, anche alle tre di notte. «Amava controllare ogni dettaglio, raccontano i dipendenti — Era inflessibile contro ogni segno di sciatteria». E quante volte avrà pensato a quel maledetto paletto contro il quale si infranse il vagone-cisterna pieno di Gpl, scatenando l’incendio e togliendo la vita a 32 persone.