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Francesco Spini per la Stampa
Un' altra giornata all' insegna della speculazione che picchia duro, quella che si è abbattuta sul Monte dei Paschi di Siena. Il titolo è subito caduto in picchiata di fronte a chi guarda a Siena come a una delle potenziali mine pronte a esplodere in caso di un «no» al referendum costituzionale. In Borsa questo si traduce in un nuovo calo del 4,65% (il titolo vale ora 22 centesimi) nel giorno che segna l' avvio di una settimana centrale per il futuro della più antica banca del mondo: giovedì ci sarà l' assemblea cui spetterà il compito di dare il via libera a una ricapitalizzazione fino a 5 miliardi di euro.
Ieri c' è stato l' ultimo consiglio di amministrazione prima della riunione dei soci. La cui prima incognita è il quorum: serve la presenza del 20% del capitale sociale. I grandi soci (il Tesoro col 4%, Axa col 3,1%, Alessandro Falciai con l' 1,8%, Fondazione Mps con l' 1,5% e Fintech con l' 1,3%) garantiscono il 12% e, secondo indiscrezioni, mancherebbe all' appello tra il 5 e il 6%. C' è tempo fino a domani. «Siamo più fiduciosi di ieri - ha detto all' uscita del cda un consigliere -. Qualcosa si sta muovendo nonostante l' enorme frazionamento dell' azionariato». Nel caso l' obiettivo fallisse non esiste un «piano B», ma «andrebbe riconvocata l' assemblea, ricominciando la procedura da capo, quindi la dovremmo riconvocare per gennaio».
Altro tema, in vista dell' assemblea, sono le informazioni a disposizione del pubblico. Non sufficienti, secondo la Consob che oggi dovrebbe spedire a Siena una richiesta di integrazione con la lista degli elementi da fornire tra la documentazione assembleare. I temi spazierebbero sull' operazione e sui risultati dei sondaggi di mercato cosiddetti di pre-marketing su cui, a quanto filtra, i riscontri sarebbero positivi soprattutto in vista della conversione volontaria dei bond subordinati.
Chissà che l' authority non chieda lumi anche sulla questione degli «investitori ancora», a cui legare una fetta importante della ricapitalizzazione. All' orizzonte, tra questi, si staglia per ora solo il fondo sovrano del Qatar (Qia). Secondo un consigliere il Qatar «non è l' unico investitore interessato» ma lo sarebbero anche altri «nonostante la confusione legata al referendum» del 4 dicembre.
UNICREDIT
Nel frattempo c' è anche Unicredit che porta avanti le manovre in vista del piano industriale che sarà svelato il 13 dicembre. La banca guidata da Jean Pierre Mustier - che studia una ricapitalizzazione «monstre» da 13 miliardi - sarebbe alle battute finali per vendere il 33% di Bank Pekao che sarà suddiviso tra le polacche Pzu (20%) e Pfr (13%), per 2,5 miliardi, a quanto si dice.
Nella gara per la vendita di Pioneer fa invece un passo indietro Aberdeen: «Non possiamo permetterci i 3,5 miliardi verso cui si va», ha detto l' ad Martin Gilbert a Bloomberg. I favoriti restano i francesi di Amundi, con cui si misurano la cordata italiana di Poste-Anima-Cdp e Ameriprise. In lizza, ma più defilata, anche l' australiana Macquarie.
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