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Sergio Rizzo per il "Corriere della Sera"
Rischia di lasciare qualche traccia quanto è accaduto mercoledì scorso, prima dell'assemblea della Finmeccanica che ha ratificato una perdita monstre di 2,3 miliardi di euro. E rischia di lasciarle non soltanto nel consiglio di amministrazione, che ha vissuto una delle giornate più turbolente dall'epoca di Pierfrancesco Guarguaglini, ma anche nei rapporti fra il Tesoro e il direttore generale della holding, Alessandro Pansa. Quasi idilliaci, finora.
Perché di tutto aveva bisogno la Finmeccanica, provata dalle perdite e alle prese con pesanti ristrutturazioni, indagini giudiziarie e perfino minacce terroristiche, tranne che di nuove tensioni al vertice. Finite, per giunta, anche sui giornali. L'indiscrezione trapelata mercoledì mattina e poi rivelatasi inesatta, secondo cui il consiglio di amministrazione sarebbe stato in procinto di attribuire a Pansa, cooptato appena qualche mese fa, deleghe tali da ridimensionare il ruolo dell'attuale presidente e amministratore delegato Giuseppe Orsi, profilando in tal modo una diarchia già sperimentata in passato con esiti catastrofici (se non addirittura una discontinuità negli equilibri di potere interni) ha scatenato un putiferio.
Insieme ai rappresentanti del Tesoro, anche i consiglieri di minoranza, l'ex amministratore della Fiat Paolo Cantarella, Silvia Merlo e Christian Streiff si sono subito opposti. Ed è toccato a Orsi, cioè a colui che era stato presentato come la vittima di un ribaltone, cercare di ricomporre la situazione, convincendo il consiglio a confermare a Pansa le deleghe già avute in precedenza.
Oltre a quelle, il direttore generale ha portato a casa la gestione dei rapporti con le controllate, sempre però con l'obbligo di riportare direttamente allo stesso Orsi e non invece come funzione autonoma tipica di un amministratore delegato. Uno schema pressoché identico a quello vigente al tempo del suo predecessore Giorgio Zappa. Anche se forse le aspettative di Pansa, il cui nome un anno fa era finito nella terna predisposta da Guarguaglini per la successione all'incarico di capo supremo della grande holding pubblica, erano un po' diverse.
E lo strappo è stato evidentemente troppo forte, in un momento come questo, perché l'incidente possa considerarsi del tutto chiuso. Almeno da parte dell'azionista principale, il Tesoro. Tanto che a via XX settembre non vedrebbero male una iniziativa che sparigliasse le carte, collocando Pansa alla guida di una importante controllata. Per esempio il gruppo Selex, un tempo regno della moglie di Guarguaglini, Marina Grossi.
E che dopo le fusioni delle varie di cui era composto dovrebbe assumere un ruolo cruciale nella strategia di transito della Finmeccanica da azienda prevalentemente militare a società a elevata tecnologia più attiva nel civile. Non una semplice promozione ai fini di rimozione, come se ne sono viste tante: se è vero, come fa notare qualcuno, che l'ipotesi potrebbe essere vista addirittura come un investimento.
Prima di tutto perché il gruppo Selex, come detto, è considerato uno dei pezzi più pregiati di Finmeccanica in una prospettiva strategica. In secondo luogo perché il passaggio di Pansa al timone di quest'azienda offrirebbe anche al manager figlio del giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, che ha una formazione prettamente finanziaria, l'occasione per misurarsi con la gestione operativa di un'attività industriale. Magari nella prospettiva di una crescita futura. Magari. Nell'immediato, invece, forse è un modo per tentare di spegnere almeno uno dei tanti focolai d'incendio all'ultimo piano.
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