PAESE MALATO, CREDITO INFETTO - LE “SOFFERENZE” BANCARIE CRESCIUTE DEL 40%: ORA TOCCANO I 135 MILIARDI

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

1 - BANCHE ITALIANE PENALIZZATE IN EUROPA
Morya Longo per il "Sole 24 Ore"

«Le medie banche italiane dovranno probabilmente raccogliere nuovi capitali». Dopo la rivelazione delle ispezioni su 20 istituti di credito da parte della Banca d'Italia, che ha imposto maggiori accantonamenti per coprire le perdite sui crediti deteriorati, arriva l'agenzia di rating Fitch a gettare benzina sul fuoco: le banche di medie dimensioni - si legge in un comunicato diramato ieri - hanno poco capitale e dovranno aumentarlo. Come dire: oggi sono troppo deboli. Il vero problema è che la debolezza delle banche italiane (non solo di quelle medie) aumenta. È questo che impedisce loro di erogare più credito, come le imprese vorrebbero.

CRESCERE SENZA CRESCITA
Il loro problema numero uno è quello dei crediti deteriorati. In Italia sono arrivati a livelli problematici, dato che solo quelli in sofferenza (escludendo gli incagli) sono aumentati del 40% in due anni, arrivando secondo l'Abi al record di 135 miliardi di euro a maggio 2013. Il conto aumenta ulteriormente includendo incagli e scaduti.

Gli istituti hanno cercato di ridurre l'impatto di questa montagna di "spazzatura" nei bilanci riducendo gli accantonamenti rispetto a un tempo, e dunque limitando le perdite in bilancio. Ma Bankitalia - come rivelato ieri - a fine 2012 ha imposto maggiore prudenza. Questo è costato, alle 20 banche esaminate da Via Nazionale, 3,4 miliardi di euro di perdite aggiuntive. E potrebbe costare di più a 8 delle 20 banche, che restano sotto una vigilanza «speciale».

Il problema è che - probabilmente - il conto non finisce qui. Stima Alix Partners, che ha fatto uno studio recente sull'effetto combinato dei crediti in sofferenza e del calo del mercato immobiliare, che i dolori non siano finiti: le banche italiane potrebbero dover sopportare complessivamente ancora da un minimo di 22 miliardi (nello scenario "favorevole") a un massimo di 31 miliardi (in quello "sfavorevole") di ulteriori perdite dovute ai crediti deteriorati.

Questo avrebbe l'effetto di "bruciare" capitale. Insomma: le obbligherebbe a dover reperire nuove risorse sul mercato. Come dice Fitch. Qui viene il secondo problema: per le banche italiane, che vivono in un Paese in crisi, convincere gli investitori internazionali a dare loro capitale non è facile.

Per tanti motivi. Innanziatutto gli investitori esteri sono "freddi" nei confronti dell'Italia. Per di più non conviene neppure tanto sottoscrivere gli aumenti di capitale, dato che le banche hanno ormai una redditività molto bassa: calcola Boston Consulting che il Roe (return on equity) medio delle prime 7 banche della Penisola sia pari al 4%. Ben poco attraente per gli investitori.

Morale: effettuare aumenti di capitale è difficile. L'alternativa, per rafforzare il patrimonio, è ridurre le attività: vendere rami d'azienda, oppure diminuire le erogazioni di credito. Così stanno facendo: ecco perché finanziano sempre meno famiglie e imprese.

IL CONFRONTO INTERNAZIONALE
In realtà in tutta Europa le banche hanno tanti problemi. Il tema dei crediti dubbi è tipico di Italia e Spagna, dove l'economia peggiora maggiormente: da fine 2011 a fine 2012 - calcola R&S Mediobanca - sono saliti nel nostro Paese del 16,5% e in quello iberico del 18,3%. Nello stesso periodo in Germania sono calati del 2,5%, in Francia del 6,9%, In Gran Bretagna dell'11,1%. Italia e Spagna hanno anche il problema dei titoli di Stato, che zavorrano i loro portafogli.

Ma anche negli altri Stati i problemi non mancano. Sono diversi, ma non meno gravi. Per esempio alcune banche sono piene di derivati. Lo dimostrano i dati di R&S Mediobanca: nel bilancio del Credit Suisse ammontano al 24,9% del patrimonio netto tangibile (il 99,5% dei quali è di tipo speculativo), in quello di Deutsche Bank arrivano al 19,3% (il 99% è di tipo speculativo). Per contro in Intesa e UniCredit sono sotto al 2% del patrimonio. All'estero le banche hanno una leva (indice di rischiosità) più elevata delle nostre banche. E molte più attività speculative.

2 - IL RIGORE AMPLIFICA LA STRETTA CREDITIZIA
Fabio Pavesi per il "Sole 24 Ore"

Di troppo rigore si può anche morire. O meglio si rischia di far avvitare ulteriormente su se stesso un sistema già in pesante crisi. E di propagare come un'onda tellurica i suoi effetti all'economia reale. Il nuovo giro di vite di Banca d'Italia, che pretende dalle banche la massima severità sulle politiche di copertura dei crediti dubbi, ha più che una ragion d'essere. Pulire i bilanci fino in fondo permette di assicurare piena stabilità del sistema, la maggior preoccupazione di un organo di Vigilanza.

Quell'azione già intrapresa da mesi ha avuto già i suoi effetti. Molte delle perdite record inanellate nel 2012 soprattutto dalle banche medio-piccole sono infatti figlie dei maggiori accantonamenti, chiesti da Bankitalia, sui crediti deteriorati. Quelle perdite erodono capitale e costringono le banche, per tenere in linea i requisiti di Basilea, a fare due cose: o aumentare il patrimonio, chiedendo soldi ai soci in particolare a Fondazioni già a corto di dividendi, o ridurre gli attivi a rischio, cioè i crediti.

Visto che di questi tempi fare aumenti di capitale non è certo la cosa più gradita al mercato, spesso le banche scelgono la seconda strada. Riducono i portafogli crediti, in particolare alle imprese, già ampiamente tagliati per oltre 44 miliardi nel solo 2012. E così il giusto rigore crea come effetto collaterale una nuova ondata di credit crunch. Peccato che tutto ciò accada solo in Italia e non nel resto d'Europa.

È l'Italia che ha una normativa assai stringente sui crediti malati. Da noi abbiamo sofferenze, incagli, ristrutturazione e crediti scaduti. Nel resto d'Europa calcolano di fatto solo le sofferenze conclamate. Il che fa apparire sistemi bancari come quello spagnolo, francese e in parte (leggi Landesbank) tedesco più virtuosi di quello italiano. Sui 237 miliardi di crediti deteriorati in Italia, le mere sofferenze sono "solo" 130 miliardi.

Se si calcolassero solo le sofferezne quel rapporto del 12% di crediti malati sui portafogli scenderebbe al 6-7%, un livello simile a quello delle benche degli altri paesi europei. Una distorsione ottica che finisce per punire oltremisura i nostri istituti. Gli altri regolatori sono assai più benigni. Giusto o sbagliato che sia l'Italia ha di fatto una zavorra in più.

 

 

Antonio Patuelli IGNAZIO VISCO ignazio visco banchesportelli di banca