PAGAMENTI IN MORA-TTI - IL RINCARO DEL PETROLIO E L'EMBARGO DECISO DALL'UNIONE EUROPEA SULLE IMPORTAZIONI DI PETROLIO DALL'IRAN COSTRINGE I FRATELLI MORATTI A VENDERE UNA QUOTA DELLA LORO RAFFINERIA PIÙ IMPORTANTE, LA SARAS - MASSIMO E GIAN MARCO, PUR AVENDO NEGLI ANNI ACCUMULATO UNA FORTUNA, LE VARIE SOCIETÀ HANNO PERSO MEZZO MILIARDO €: INCAPACI O SPENDACCIONI? - L’INTER VINCE SUL CAMPO MA NON IN BANCA: IN ROSSO PER 87 MILIONI...

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1- MORATTI IN VENDITA
Luca Piana per "l'Espresso"

Non c'è solo la rimonta dell'Inter nel campionato di calcio. In queste settimane una questione più delicata per gli affari di famiglia costringe i Moratti a trattenere il fiato.

A Milano, nel grattacielo della Saras, la principale delle loro aziende, vengono seguite passo dopo passo le conseguenze dell'embargo deciso dall'Unione europea sulle importazioni di petrolio dall'Iran. Tra i barili di greggio utilizzati per produrre carburante nella loro raffineria di Sarroch, in Sardegna, quasi uno su dieci arriva dal Paese degli ayatollah. E la perdita degli approvvigionamenti rischia di essere un duro colpo perché la Saras e tutte le raffinerie europee già oggi soffrono terribilmente l'aumento dei prezzi, al punto che la lobby dei petrolieri ha pubblicamente chiesto al governo di Mario Monti lo stato di crisi.

Al di là delle pressioni sul governo, i Moratti hanno però fatto un passo che rivela una possibile svolta nella loro storia familiare. Già dalla scorsa primavera stanno sondando il mercato per vedere se c'è qualcuno interessato a comprare almeno una quota dell'impianto di Sarroch, inaugurato dal capostipite Angelo nel 1965 e da quel momento fonte di tutte le loro ricchezze.

Cedere anche la metà di un bene così cruciale in un momento tanto negativo di mercato, sarebbe un cambiamento epocale, che mostra forse come Gian Marco e Massimo, i due figli ai quali Angelo aveva lasciato la guida dell'azienda in una famiglia dove le donne erano escluse dai posti di vertice, nutrano qualche timore per il futuro industriale del loro gruppo. E magari sentano, restando nel campo delle ipotesi, il colpo delle perdite accusate in alcuni business personali, dall'Inter di Massimo alle iniziative tecnologiche di Gian Marco e della moglie Letizia, ex sindaco di Milano. Perdite stimabili, negli ultimi tre anni, in circa 500 milioni di euro.

A dire il vero, la ricerca di un alleato disposto a contribuire agli investimenti necessari per superare il momento buio della raffinazione sembra che si stia rivelando complicata. A quasi un anno dalle prime ammissioni del management con gli analisti, a quanto è dato sapere non si sarebbe ancora arrivati a un nome certo. Rispetto all'ultima dichiarazione di dicembre ("continuano i rapporti, anche informativi, con controparti industriali, che possono riguardare operazioni sia commerciali che strategico-industriali", aveva detto la Saras), fonti vicine alla famiglia ribadiscono a "l'Espresso" che non ci sono novità imminenti sull'arrivo di un partner: "Ammesso che accada, ci vorrà ancora tempo".

Per i non addetti ai lavori, immaginare i Moratti in crisi o alle prese con la necessità di ricercare capitali esterni appare quanto meno sorprendente. Il loro è, infatti, uno dei nomi più noti del capitalismo italiano, anche se l'effettiva consistenza del loro patrimonio resta segreta. Gian Marco, 75 anni, è noto in città per essere stato lo sponsor delle milionarie campagne elettorali della moglie. Mentre Massimo, 66 anni, si calcola che in 17 anni di Inter abbia speso per sostenere la squadra circa un miliardo (vedi articolo nella pagina a fianco).

Nessuno mette in dubbio la solidità del patrimonio familiare. È vero che Massimo si è fatto più attento e che nemmeno i suoi tifosi lo definirebbero oggi "lo sceicco del pallone italiano", come disse Fedele Confalonieri, grande amico del rivale milanista Silvio Berlusconi. Ed è anche vero che, durante le indagini della magistratura - poi archiviate - sul collocamento in Borsa di Saras nel 2006, un fiasco per gli investitori, spuntarono alcune mail dove un banchiere sussurrava che "uno dei fratelli" fosse indebitato per oltre 500 milioni.

Furono però Gian Marco e Massimo, interrogati come persone informate dei fatti, a smentire difficoltà di questo genere. E fra chi li conosce c'è chi dice che i quasi 1.800 milioni di euro incassati sui loro conti personali con il collocamento siano ancora tutti lì, intatti. C'è poi un ulteriore fatto che rende lecito supporre che la famiglia possa contare su risorse più ampie delle partecipazioni rintracciabili negli atti delle loro società e delle loro proprietà immobiliari, disseminate dalla centralissima via Laghetto a Milano alla zona chic di Cortina d'Ampezzo, dall'isola di Saint-Louis sulla Senna parigina al magnifico Central Park di New York.

Nella struttura proprietaria della Saras (vedi figura a pagina 106) sono infatti presenti solo i figli maschi di Gian Marco e Massimo. Si dice che Angelo Moratti fosse contrario per principio alla presenza delle figlie nei ruoli aziendali perché temeva che si sarebbe aperta la strada a un'incontrollabile frammentazione della proprietà. Gian Marco e Massimo, chissà se per scelta o se per vocazione delle loro cinque figlie femmine, quanto meno nella Saras hanno continuato a seguire le direttive paterne.

E così la nuda proprietà dell'accomandita che ne custodisce la maggioranza fa capo da diversi anni ai quattro figli maschi (la gestione è ancora in mano ai genitori, con Gian Marco presidente e Massimo amministratore delegato). È però immaginabile che, nella suddivisione dei beni accumulati dal nonno e dai genitori, anche le ragazze Moratti abbiano avuto la loro parte, senza darne troppa pubblicità.

Perché dunque cercano un socio forte per la Saras? E perché la raffineria è in difficoltà? Dare una risposta plausibile alla prima domanda è difficile, perché riguarda in parte gli affari di famiglia. Affari che, a dispetto del patrimonio finanziario che è possibile attribuire loro, se si guardano le aziende personali negli ultimi anni non sono andati granché bene. Fornire un dato complessivo potrebbe essere fuorviante, perché nessuno dei due rami familiari ha una vera capogruppo che pubblichi un bilancio consolidato.

A spanne si può però dire che, sommando le perdite accumulate dal 2008 al 2010 dalla Securfin (lato Gian Marco) e dalle sue partecipate sparse fra Lussemburgo, Stati Uniti, Olanda e Germania, nonché dall'Inter (lato Massimo) e dalle società raccolte sotto il cappello della Cmc, il rosso complessivo sfiora il mezzo miliardo di euro. E se è vero che la passione ultrà del patron nerazzurro è certamente dispendiosa, i dati sembrano smentire la vulgata che attribuisce a Gian Marco un bernoccolo degli affari più aguzzo: la controllata tedesca Syntek Capital, nata per investire nelle nuove tecnologie, ha perso negli ultimi anni 202 milioni, ai quali vanno aggiunti quelli riferibili alla controllante olandese Golden.e, ora annunciata come prossima alla chiusura.

La Saras, dunque. In questi anni di tensione sul prezzo del petrolio ma anche di crisi economica in Europa, i raffinatori stanno vivendo un momento buio. Semplificando al massimo, si può dire che comprano il greggio a caro prezzo dai Paesi produttori ma vendono i carburanti a fatica in casa, dove i consumi sono diminuiti. Una volta la benzina prodotta a Sarroch trovava la via degli Stati Uniti. Ora invece sono le raffinerie americane che possono vendere in Europa i loro carburanti, perché per la prima volta il mercato Usa non assorbe tutta la produzione. E pure i cinesi stanno mietendo successi, con grandi recriminazioni da parte degli operatori europei che li accusano di godere di normative ambientali meno severe.

Se il presente è duro, il futuro rischia di non essere migliore. Dice Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: "Nemmeno quest'anno lo scenario è destinato a cambiare. Negli Stati Uniti e in Europa i consumi di benzina e gasolio sono previsti in calo e in Italia, se la recessione sarà dell'entità che si teme, andrà anche peggio che altrove. Per i raffinatori si tratta di un contesto molto complicato: anche gli impianti particolarmente sofisticati come quello di Sarroch non riescono a ottenere margini sufficienti per coprire il costo del greggio e gli oneri per lavorarlo".

La cose si vanno complicando, fra l'altro, per alcune raffinerie italiane che hanno impianti fatti per lavorare i greggi dell'Iran, ora sotto embargo. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: la Saras, non sapendo dove mandare la benzina, è l'origine di gran parte dei volumi che attualmente vanno alle cosiddette "pompe bianche", quelle al di fuori dei circuiti delle grandi compagnie che le ultime liberalizzazioni vorrebbero più diffuse.

In tutta Europa, però, diverse raffinerie stanno chiudendo, mentre i produttori dell'Est hanno messo nel mirino gli impianti migliori. Spiega Tabarelli: "I russi sono interessati a comprare e hanno potenzialità enormi: basti pensare che, per loro, il costo di estrazione del petrolio è di 3-4 dollari al barile, rispetto ai 105 dollari a cui vendono attualmente quello di qualità Ural. Il problema è che sanno quanto sia difficile la situazione delle raffinerie europee. E aspettano il momento giusto per comprare". Un'attesa opportunistica che, però, potrebbe indurre i Moratti a resistere fino a quando il peggio sarà passato.

I più svelti a vendere, in Italia, sono stati i Garrone, che nel 2008 hanno ceduto il controllo dell'impianto siciliano di Priolo alla russa Lukoil, che aveva interpellato pure la Saras. In tempi più recenti, invece, contatti ci sono stati certamente con il colosso moscovita Gazprom, ma sono circolati anche i nomi della kazaka KazMunaiGaz e dell'azera Socar. In teoria, per sfruttare il boom dei consumi di carburante previsto nei prossimi anni non solo in Russia ma anche in Asia, America Latina e Medio Oriente, la crisi potrebbe offrire un'occasione d'oro agli imprenditori che avessero le risorse e la capacità di compiere il salto di qualità. I Moratti, forse, i quattrini per provarci li avrebbero anche. Ma trovare il coraggio di farlo davvero è un'altra cosa.

2- NON PARLATE DI FAIR PLAY
Marcel Vulpis, direttore Sporteconomy.it, per "l'Espresso"


In casa Inter è tempo di mettersi a dieta. Nonostante la diminuzione dei costi per 53 milioni e un ricavo straordinario (grazie all'accordo con la Rai sull'archivio delle immagini tivù) di 13,3 milioni, la perdita netta registrata nell'esercizio chiuso a giugno 2011 è stata di quasi 87 milioni. Un rosso peggiore dell'anno precedente, che già aveva fatto segnare una perdita di 69 milioni. Quest'anno, peraltro, la società nerazzurra ha registrato un giro d'affari di 268,8 milioni, in netto calo rispetto ai 323,5 della stagione dei successi conseguiti sul campo dall'ex allenatore José Mourinho. L'onda lunga collegata alle vittorie, dunque, non c'è stata.

Negli ultimi tre anni, peraltro, la somma delle perdite ha superato i 310 milioni. Troppo anche per il presidente-mecenate Massimo Moratti. È una cifra che si pone infatti al di sopra della soglia di tolleranza di 45 milioni prevista dal progetto di fair play finanziario del presidente dell'Uefa, Michel Platini, in vigore dal 2013. Se i ricavi verranno confermati nella loro entità anche nelle stagioni successive, la scelta della riduzione dei costi è un obbligo imprescindibile.

Moratti, invece, ritiene che la società nerazzurra "debba e possa" aumentare i ricavi commerciali per allinearsi ai club migliori e mantenere la squadra in alto. Il patron, però, dal 1995 a oggi ha speso una fortuna: nei 16 bilanci da lui firmati l'Inter ha cumulato perdite nette per 1,2 miliardi e ha ricevuto apporti dai soci per oltre un miliardo.

Un primo tentativo di ridurre in parte i costi è stato realizzato l'estate scorsa con la cessione dell'attaccante Eto'o, che ha fatto risparmiare circa 20 milioni di ingaggio lordo. Un secondo passaggio arriverà dalla prossima estate, quando andranno in scadenza i contratti dei difensori Samuel, Chivu e Cordoba, che guadagnano 3-4 milioni netti a campionato.

Per essere in regola, bisognerà però stare attenti. Al 30 giugno scorso, infatti, il costo dei dipendenti, in rapporto al valore della produzione, superava anche se di poco il limite massimo del 70 per cento stabilito dal futuro regolamento Uefa: un caso che con le nuove norme potrà far scattare dei controlli. Mettersi a posto, tuttavia, rischia di essere un problema: mandare a casa troppi campioni non piace ai tifosi e nemmeno agli sponsor, che pagano tantissimo (12,7 milioni arrivano dalla sola Pirelli) per veder vincere la squadra e crescere in esposizione tivù.

 

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