RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Dino Pesole per https://24plus.ilsole24ore.com/
Puntuale, a ogni passaggio complesso per la nostra economia, riemerge (per poi normalmente sparire dai radar) lo spettro della patrimoniale. Questa volta a incaricarsi di proporre una nuova forma di tassazione sui patrimoni di quelli che vengono identificati come “super ricchi” è un emendamento alla legge di Bilancio in discussione alla Camera, firmato da Nicola Fratoianni (Leu) e Matteo Orfini (Pd), subito qualificato dai vertici del Pd come “un'iniziativa personale”, da cui il Governo è pronto a prendere le distanze. Di cosa si tratta, e quali effetti potrebbe avere?
Tassare i “super ricchi” a partire da 500mila euro
Stando ai presentatori dell'emendamento, si tratterebbe di eliminare l'Imu sulle seconde case e introdurre un prelievo progressivo sul patrimonio a partire da una base imponibile di 500mila euro con un'aliquota dello 0,2%, che poi salirebbe allo 0,5% al di sopra di un milione di euro, all'1% sopra i 5 milioni e al 2% se si è in presenza di un patrimonio che superi i 50 milioni.
A parere dei promotori della proposta, in tal modo sarebbe possibile recuperare un gettito aggiuntivo di 18 miliardi l'anno da utilizzare per ridurre le tasse a beneficio dei redditi medi e medio-bassi. Una manovra fiscale dall'intento redistributivo, dunque che però presenta già in partenza alcuni caveat non da poco. Intanto non è scontato che un prelievo così congegnato superi eventuali ricorsi per sospetta incostituzionalità.
Si tratterebbe poi comunque di un aumento del prelievo, ancorché limitato alle fasce di reddito più alte, che non pare proprio la ricetta più appropriata in una fase di crisi acuta, quale quella che sta attraversando la nostra economia.
Di tutto abbiamo bisogno, tranne che di nuove tasse. Al contrario, quella stessa somma che i presentatori dell'emendamento ipotizzano per la loro patrimoniale potrebbe (e potremmo aggiungere dovrebbe) essere se mai recuperata attraverso l'ampliamento della base imponibile atteso da un'incisiva, costante e strutturale lotta all'evasione fiscale.
Distribuire il maggior gettito sottratto all'evasione e all'economia sommersa a beneficio di chi le tasse le paga regolarmente sarebbe – questo sì – un bel segnale in direzione dell'equità fiscale.
Patrimoniale ma su cosa?
Di prelievi abbonda già il nostro ordinamento. Tasse sul patrimonio mobiliare e immobiliare, dai bolli sulle transazioni finanziarie all'Imu (che già di per sé si configura come una patrimoniale) sono già previsti. Per prima cosa occorrerebbe chiedersi se nel nostro paese si è in grado oppure no di accertare con esattezza la consistenza effettiva del patrimonio dei singoli contribuenti.
L'incrocio delle varie banche dati lo consentirebbe, anche il segreto bancario di fatto è superato, ma in un sistema di piena e totale integrazione finanziaria, il primo rischio è che si assista a nuove forme di “fughe di capitali” che per quel che riguarda il patrimonio mobiliare (bond, azioni e vari strumenti finanziari) può avvenire oggi con estrema rapidità.
Sulle case l'intervento è relativamente più “semplice”, con un'avvertenza che nel momento attuale pare decisiva: introdurre ora nuove forme di tassazione sugli immobili potrebbe avere effetti negativi sull'intera filiera immobiliare, con ripercussioni sull'intero mercato di riferimento.
E come è noto, essendo l'edilizia uno dei settori trainanti dell'economia, non pare proprio questa la scelta migliore per un paese che quest'anno a causa della pandemia subirà una contrazione del Pil che si aggira attorno al 10 per cento.
Ipotizzare poi nuovi prelievi sulla casa (bene rifugio per eccellenza) potrebbe ingenerare presso i risparmiatori reazioni di ulteriore contrazione dei consumi e incidere sulle prospettive di investimento, ricordando peraltro che l'Imu sulla prima casa è già stata abolita . Emblematico è il dato sugli investimenti in immobili commerciali che nel primo semestre del 2020 ha evidenziato un calo del 25% su base annua.
In aumento la propensione al risparmio
Diverso è il ragionamento su quali strade potrebbero aprirsi per meglio canalizzare il risparmio e la gran quantità di liquidità che giace sui conti corrente a causa del sentimento generale di incertezza dominante in questa fase. Secondo i dati contenuti nell'ultimo Bollettino economico della Banca d'Italia, nel secondo trimestre del 2020 la propensione al risparmio in Italia è cresciuta del 18,6%, il doppio rispetto al 2019.
Si segnala un incremento della liquidità sui depositi anno su anno dell'8%, a quota 1.682 miliardi, in aumento di 125 miliardi. Secondo una recente indagine Intesa-Centro Einaudi relativa al risparmio e alle scelte finanziarie degli italiani nell'anno in corso, la propensione al risparmio è salita dall'11,8% del reddito disponibile in febbraio al 20%, con la giacenza sui conti corrente dei privati che a settembre era di 126 miliardi superiore all'anno precedente.
I dati delle dichiarazioni dei redditi parlano chiaro
Stando ai dati dell'Agenzia delle Entrate riferiti al 2018, il 44% dei contribuenti, che dichiara il 4% dell'Irpef totale, si colloca nella classe fino a 15.000 euro; in quella tra i 15.000 e i 50.000 euro si posiziona il 50% dei contribuenti, che dichiara il 56% dell'Irpef totale, mentre solo circa il 6% dei contribuenti dichiara più di 50.000 euro versando il 40% dell'Irpef totale.
I soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300 mila euro rappresentano lo 0,1% del totale dei contribuenti. Il reddito è un indicatore sintetico, certo non fotografa l'intera posizione patrimoniale del contribuente, e tuttavia dovrebbe risultare chiaro che quella dei cosiddetti super ricchi rappresenta una percentuale decisamente esigua dell'intera platea.
Occorre peraltro considerare che i redditi da lavoro dipendente e da pensione rappresentano circa l'82% del reddito complessivo dichiarato (il reddito da pensione rappresenta il 29% del totale del reddito complessivo). E oltre il 50% della ricchezza degli italiani è concentrata nel proverbiale mattone.
La ricchezza netta delle famiglie italiane, misurata come somma delle attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (prestiti a breve termine, a medio e lungo termine, ecc.), è pari a 9.743 miliardi di euro. Basta tutto ciò per giustificare il ricorrente e poco produttivo dibattere su ipotesi di patrimoniale?
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