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Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
«Quando la praticano gli americani, si chiama lobby; quando la fanno gli altri, diventa corruzione». Ride, Jagdish Bhagwati, mentre fa questa battuta velenosa, ma in realtà sta scherzando solo un po'.
Bhagwati, professore alla Columbia University di New York e studioso del Council on Foreign Relations, è un'autorità mondiale nello studio e nella pratica dei commerci internazionali. Basti pensare che è stato consigliere tanto del direttore generale della World Trade Organization, quanto di quello del General Agreement on Tariffs and Trade.
Che prove ha per sostanziare la sua battuta?
«Tante. A esempio questa. Durante l'amministrazione Clinton, fui invitato a viaggiare con una delegazione ufficiale che andava in Cina con il segretario al Commercio Ron Brown. Entrati nella sala dell'incontro principale con le autorità politiche e la comunità del business, Brown parlò con grande schiettezza: finora - disse - ho fatto l'avvocato lobbista a Washington, e quindi potevo aiutare solo i miei clienti a trovare commesse; oggi sono ministro del Commercio, e quindi posso venire qui a ottenere contratti per tutte le aziende americane».
Non era lecito?
«Certo. C'è anche chi sostiene che il lobbismo è democrazia. Altri, però, lo considerano la legalizzazione della corruzione. Tutti lo fanno, ma poi gli americani accusano i francesi, che accusano gli inglesi, che accusano i tedeschi, che accusano gli italiani, e così via».
La corruzione è il sistema con cui funzionano i mercati internazionali?
«Sostanzialmente sì. Ma bisogna saper distinguere, perché ci sono diversi livelli. Supponiamo che un paese importante mandi una delegazione in India guidata dal capo del governo, e prometta alle autorità di Nuova Delhi di aiutarle in Kashmir, in cambio di una grande commessa a cui tiene. Non si spostano soldi, non ci sono tangenti, ma arriva sostegno politico a livello internazionale e magari qualche fornitura di armi. Come la chiamate, questa?
Oppure si costruiscono scuole, ospedali, strade, in cambio dello sfruttamento di un giacimento. I più sofisticati si comportano così e sono inattaccabili, quasi generosi. Gli altri, un livello più sotto, pagano le tangenti, e finiscono nel mirino dei procuratori. Poi c'è la corruzione di livello più basilare, quella che serve a far funzionare il sistema a livello locale, che esiste a Nuova Delhi come a New York».
Il suo collega Kaushik Basu, capo economista della Banca Mondiale, sostiene addirittura che bisognerebbe legalizzare parzialmente questo genere di corruzione, considerando reato solo l'accettazione delle tangenti e non la consegna.
«Non arrivo a tanto, ma è chiaro che almeno la corruzione basilare è endemica. Senza di lei non si muove nulla, in Oriente come in Occidente».
Cosa bisognerebbe fare, per evitare quella più sofisticata?
«Esistono già delle regole condivise a livello Oecd ma chiaramente non bastano. Io penso che l'unica misura efficace sarebbe quella di separare la politica dal business, vietando le delegazioni che uniscono gli uomini di governo con quelli degli affari. E' molto difficile che questo avvenga, ma quanto meno bisognerebbe cominciare a discuterne, se crediamo che la competizione onesta sul mercato sia lo strumento più efficace per allocare le risorse».
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