DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO BERLUSCONI NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN…
Dario Di Vico per il “Corriere della Sera”
Si sono aperti lunedì pressoché in contemporanea due grandi eventi del food italiano, uno a Milano e l' altro a Parma. Nella città lombarda è una vera e propria Food Week e prevede un ricco cartellone con una manifestazione fieristica classica a Rho-Pero, un mega-convegno internazionale e altre iniziative collegate che riprendono nel format e nello spirito gli straordinari successi delle settimane del design.
A Parma, invece, si è aperto Cibus, l' ormai tradizionale salone dell' alimentare italiano che riempie i capannoni della fiera, mostra sempre un' ottima salute e si giova dell' appoggio convinto della Federalimentare-Confindustria.
La prima considerazione di buon senso chiama in causa la contemporaneità dei due eventi e consiglierebbe di splittarli ma se le cose non vanno così un motivo ci sarà e per tentare di rintracciarlo conviene fare un passo indietro.
L' alimentare italiano gode di buona salute e se i consumi in patria ristagnano sono le esportazioni a garantire lo sviluppo e i risultati. La reputazione dell' industria italiana di trasformazione è elevata in tutto il mondo e in molti, cinesi in primis, copierebbero volentieri il nostro know how.
michele franca e giovanni ferrero
Lo fanno in una versione-pirata con tanta contraffazione e poco fascino e comunque la cosa ci fa male. È vero poi che all' orizzonte c' è la rivoluzione salutista e un consumatore occidentale sempre più esigente ma il Made in Italy, per ora, non sembra aver paura dell' innovazione e sta sperimentando con abilità nuove formule e nuovi linguaggi (addirittura riducendo il sale nel formaggio).
Del resto c' è un' ampia elaborazione a cui far riferimento da quella dei piemontesi di Slowfood fino al forum internazionale lanciato da Guido Barilla e approdato alla coraggiosa parola d' ordine «mangiate meno, mangiate meglio, mangiate tutti». Paradossalmente quindi non è l' innovazione a far paura quanto invece l' incapacità di fare sistema, di cui la duplicazione degli eventi tra Milano e Parma è l' esempio lampante.
Milano gode ovviamente del suo ruolo di vetrina del Paese, della sua cultura cosmopolita ma ha anche un prosaico interesse a saturare gli impianti di Rho-Pero inventando nuove manifestazioni o attraendo dalla provincia le più interessanti. Questo genera un classico conflitto che i sociologi chiamano «città-campagna» perché a Parma queste iniziative vengono vissute come il fumo negli occhi.
Per carità Cibus e Federalimentare che la sostiene non stanno fermi, hanno varato un' importante alleanza con la Fiera di Verona (che ha in portafoglio il gioiello Vinitaly), ieri hanno lanciato anche un' associazione-ponte tra industriali e la potente Coldiretti chiamata Filiera Italia.
In mezzo c' è Barilla assieme a Ferrero il nome più prestigioso del Made in Italy che ha il cuore e insediamenti produttivi a Parma ma ha giocato un ruolo decisivo nell' Expo «prestando» la Carta di Milano e, come detto, ogni anno organizza nella città di Ambrogio il suo Forum per la sostenibilità.
Manco a dirlo il confronto tra l' incapacità sistemica di noi italiani e le virtù dei tedeschi è umiliante: i teutonici, infatti, pur non disponendo dell' ampio menù dei nostri prodotti esportano di più di noi e vantano l' Anuga di Colonia come la più grande fiera internazionale del settore con numeri che Milano e Parma si sognano.
Servirebbero dunque sinergie, approccio inclusivo, capacità di coinvolgere tutti i soggetti compreso Oscar Farinetti che con la sua Eataly ha creato l' unica portaerei globale dei nostri prodotti e ha lanciato a Bologna Fico, la prima cittadella del cibo. Ma niente di tutto ciò sta avvenendo. Tutti gli attori sono incisivi e convincenti quando spiegano al cronista i torti degli altri, la verità è che ognuno ha ragione e insieme torto. Ci sarebbe bisogno di quello che nel gioco delle carte si chiama «il banco», un soggetto autorevole capace di pensare una strategia nazionale del settore e valorizzare le singole componenti.
Come sappiamo però la politica attraversa una fase ombelicale in cui i problemi della crescita non sono in cima all' agenda setting monopolizzata dall' esigenza di massimizzare il consenso low cost, per cui ci si può girare indietro e imprecare per gli anni che si sono persi quando c' erano almeno «governi responsabili». Anche gli strumenti di politica industriale come la Cdp e il Fondo Strategico il ruolo di «banco» non lo hanno svolto preferendo operare singoli investimenti in questo o quel gruppo piuttosto che finanziare piattaforme comuni e puntare su strumenti condivisi come Vinitaly o Cibus.
Eppure il Fondo Strategico era nato, con Giulio Tremonti al Tesoro, proprio a causa del food ovvero dopo il blitz francese che portò in dote alla famiglia Besnier uno dei big dell' alimentare italiano, la sfortunatissima Parmalat.
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