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Fabio Tonacci per “la Repubblica”
«Fidejussioni del tutto inefficaci nel 91 per cento dei casi», il delicatissimo ufficio della gestione del credito deteriorato definito «inadeguato», «con solo 19 dipendenti» responsabili ognuno di «550 pratiche», il «mancato tempestivo adeguamento delle norme e dei processi».
In quattordici pagine, firmate dall’ispettore di Bankitalia Giordano Di Veglia e bollate con la dicitura “riservatissime”, c’è tutta la gestione dissennata dell’ultimo consiglio di amministrazione di Banca Etruria del commissariamento. Un documento in cui il nome dell’allora vicepresidente Pierluigi Boschi, il padre del ministro delle Riforme, compare due volte, accanto alla richiesta di sanzione.
L’ispezione del pool di emissari di Banca d’Italia cominciò l’11 novembre 2014 e si chiuse il 27 febbraio 2015. È sulla base di quel lavoro, infatti, che il procuratore capo di Arezzo ha aperto poi l’inchiesta per “omissione di comunicazione di conflitto di interessi” per cui sono indagati l’ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex consigliere Luciano Nataloni.
I casi di cessione di crediti a società o persone legate ai membri del cda sono 18, ma solo per Rosi e Nataloni si è ravvisata l’ipotesi di reato. La procura non ha nemmeno vagliato le altre 16 posizioni, in quanto penalmente irrilevanti. Ciò che però non ha interessato la magistratura, è stato decisivo per il commissariamento della Banca e l’avvio del procedimento sanzionatorio, contenuto nel verbale di cui è in possesso Repubblica e che riassume l’esito dell’ispezione.
La valutazione complessiva di Di Veglia è senza appello: “Sfavorevole”. Su una scala da 1 a 6, la malagestione del management di Banca Etruria raggiunge il livello 6, il massimo. Le sanzioni proposte riguardano, oltre all’ex presidente Giuseppe Fornasari (in carica fino al 3 maggio 2014), tutti i membri dell’ultimo consiglio di amministrazione prima del commissariamento, compresi il presidente Lorenzo Rosi e i due vicepresidenti Pierluigi Boschi e Alfredo Berni.
Per Boschi, a cui vengono mosse 11 contestazioni, viene chiesta per «carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale » e per anomale «politiche e prassi di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari». Tutti i soggetti interessati hanno il diritto di presentare controdeduzioni (Boschi lo ha già fatto), ma se Bankitalia non le riterrà sufficienti, emetterà le multe. Per Boschi sarebbe la seconda, dopo quella da 144mila euro avuta nel2012.
Il cuore del verbale è nei paragrafi 11, 12, 13, relativi alla gestione del credito deteriorato, cioè i finanziamenti concessi a clienti che si trovano in difficoltà o in stato di insolvenza.
Secondo Di Veglia il tasso di recupero dei crediti di Banca Etruria è del tutto sotto la media: a giugno 2014 era dell’1,31 per cento, contro il 3,5 per cento del sistema bancario italiano.
C’è un motivo, e l’ispettore lo mette nero su bianco: «Le strutture non erano adeguate a fronteggiare l’imponente crescita delle partite anomale. Tali insufficienti risultati riflettono anche il contenuto impiego di personale per la gestione del credito deteriorato, pari a 19 unità». Dunque nell’ufficio più importante in quel momento per la Popolare, i manager ritenevano che non servissero neanche 20 persone. Il risultato però era che, vista «l’ingente mole di pratiche in lavorazione », ogni dipendente dell’ufficio doveva smazzarsi da solo 550 pratiche, quando nelle altre banche la media non supera le 250.
Ma non c’era solo la carenza di personale a rendere quelle pratiche ingovernabili e di difficile recupero. Il pool di ispettori di Bankitalia, guidati da Di Veglio, ha preso a campione 103 casi relativi al periodo settembre 2013-settembre 2014, e ha scoperto che c’erano delle evidenti anomalie. Nove volte su dieci (il 91%) le fidejussioni rilasciate dai garanti per ottenere i prestiti «erano prive di efficacia ai fini del recupero, anche a causa della mancanza di monitoraggio sui beni degli stessi».
Tradotto: Banca Etruria accettava garanzie da soggetti di cui poco o niente sapeva, senza accertarsi che avessero un patrimonio sufficiente a coprire l’eventuale sofferenza. Le garanzie da parte dei consorzi, poi, «sono risultate non attivabili nel 23 per cento dei casi». Anche per le pratiche minori, l’ufficio “Ge.Mo.” che doveva garantire «una maggiore tempestività nelle operazioni di recupero», fa registrare il ritardo medio di tre mesi.
lorenzo rosi pier luigi boschi
La capacità di Banca Etruria di recuperare i crediti che lei stessa elargiva con troppa facilità, dunque, era indebolita. Solo quando gli ispettori di Bankitalia entrano nella sede centrale di Arezzo il consiglio di amministrazione di Banca Etruria adotta un approccio “metodologico” sulla valutazione di quanto dove accantonare per coprire i buchi lasciati dai crediti deteriorati. Fino ad allora la prassi era stata «incoerente con l’attuale contesto di mercato, nonostante i ripetuti richiami formulato dall’organo di vigilanza». Il pool di ispettori se ne accorge quando si mette a verificare 644 posizioni, per cui saltano fuori altri “dubbi esiti” per 200 milioni di euro e “significative carenze nella documentazione”.
Già a luglio del 2012 il governatore Ignazio Visco aveva inviato una lettera ai manager di Banca Etruria, nella quale parlava di «fragile situazione di liquidità» e consigliava di inserire nel cda elementi di «rilevata professionalità ». Non è stata l’unica. Come riporta il
Fatto Quotidiano,
ce ne fu un’altra il 3 dicembre 2013, arrivata al cda e secretata, nella quale Visco sice che «il degrado era progressivo e irreversibile ». Il 2013 è stato l’anno dell’emissione di 110 milioni di euro di obbligazioni subordinate da parte di Banca Etruria. Perché la lettera fu secretata? E perché Bankitalia non è riuscita a fermare il disastro che aveva sotto gli occhi?
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