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Paola Pica per il "Corriere della Sera"
L'ultimo blitz, in Ca' de Sass, lo si era visto 22 mesi fa: in una sola settimana dall' uscita di Corrado Passera, Giovanni Bazoli aveva ridato una guida alla banca chiamando da Monaco di Baviera un manager italiano di profilo internazionale come Enrico Cucchiani. Si racconta ancor oggi a mezza voce nelle cene milanesi come per strappare un sì all'ex Allianz ad alta frequentazione di meeting Aspen e Bilderberg fosse stato necessario scomodare la diplomazia istituzionale, l'entourage di Angela Merkel e il Quirinale.
Il benestare di Berlino offriva una sponda di relativa tranquillità in quei giorni di spread di impazzito, crisi del debito e rischio baratro per l'Italia. Alla formazione del governo tecnico di Mario Monti la prima banca del Paese consegnava suo malgrado due esponenti chiave : il capo azienda Passera come ministro dello Sviluppo economico e la vicepresidente di sorveglianza Elsa Fornero, prima donna al vertice di un grande gruppo del credito, come titolare al Lavoro, Welfare e Pari opportunità .
Poteva sorprendere la scelta, ricaduta su un «assicuratore» sia pure si alto standing, per la guida della superbanca. I media sottolinearono la militanza di Cucchiani nel consiglio di amministrazione del primo concorrente di Intesa, Unicredit, in qualità del socio storico di Piazza Cordusio, Ras-Allianz, richiamando le cronache sui diversi ruoli giocati dai rappresentanti degli azionisti nella defenestrazione di Alessandro Profumo.
Un po' «tedesco» (ma in realtà gli è più congeniale la lingua inglese) e po' esponente de capitalismo relazionale domestico, milanese e bocconiano, su Cucchiani pesavano molte aspettative al momento del suo rientro in Italia. Per Bazoli il risultato importante era aver evitato il vuoto del ricambio mantenendo la banca in condizioni di stabilità . Nelle dichiarazioni rese poco meno di un anno fa, era il 24 novembre, il professore esprimeva soddisfazione per la scelta «rapida e unanime» sulla successione a Passera.
Con la stessa rapidità d'esecuzione, esattamente una settimana, il rapporto con Cucchiani si è risolto nella nerissima domenica della fine delle larghe intese e della crisi del governo Letta. Lasciando correre vicine, una volta di più, le vicende politiche e quelle della banca rinata dalle cenere del Banco Ambrosiano.
Si è detto che la soluzione-lampo si è resa necessaria prima della riapertura dei mercati ai quali Intesa era già stata fin troppo esposta nelle ultime sedute di fibrillazione per l'annunciata rottura consumata al vertice, tra Cucchiani e le fondazioni socie. à stato possibile chiarire solo il giorno dopo i consigli straordinari convocati in fretta e furia in via Monte di Pietà nel tardo pomeriggio domenica 29 settembre, che i due presidenti Bazoli (sorveglianza) e Gian Maria Gros-Pietro (gestione) non avevano ancora in tasca l'accordo sulle dimissioni del consigliere delegato.
I consiglieri allertati il sabato sera per la domenica alle 18 si sono presentati puntuali in Ca' de Sass per l'inizio delle riunioni. Ma poi hanno aspettato tre ore per il protrarsi delle trattative tra gli avvocati delle parti. I consigli finiti a tarda sera sono iniziati alle 21: solo a quell'ora è stato possibile annunciare un accordo per la separazione consensuale celebrata nei successivi comunicati. Il divorzio però è ancora in via di perfezionamento.
Cucchiani si è dimesso da consigliere delegato ma ha chiesto e ottenuto di restare direttore generale (senza deleghe e senza incarichi operativi) ancora per un semestre, fino al prossimo marzo. Da dipendente continuerà a percepire una retribuzione che si aggiungerà alla buonuscita da 3,6 milioni contrattata domenica sera dai suoi legali.
Una liquidazione calcolata sulla base di quanto previsto dal suo contratto. Restare in forze fino a primavera permetterà a Cucchiani, 63 anni, di maturare i requisiti per la pensione. Il finale a sorpresa della pensione ha fatto infuriare i sindacati e però ridimensiona di colpo quell'immagine dell'uomo di potere alla conquista di Banca Intesa che il gran vociferare degli ultimi giorni aveva alimentato.
La cautela con la quale la banca spiega le ragioni di una così rapida ascesa e caduta di Cucchiani si deve dunque al fatto che la posizione contrattuale non è ancora risolta.
L'attivismo non condiviso del consigliere delegato presso (potenziali) investitori internazionali ha allarmato le fondazioni socie con le quali i rapporti si via via raffreddati, fino al gelo delle ultime settimane quando si sono intensificate le missioni del manager negli Usa.
Ma è sul fronte interno che si è aperta la falla insanabile. A Cucchiani è stato fatale il fatto di non aver mai fatto squadra. Il mancato coinvolgimento della prima linea di manager si è accompagnato alla creazione ex novo, e reclutata dall'esterno, di una squadra di assistenti e consulenti a suo diretto riporto e senza alcun contatto con la struttura. Con il ticket collaudato di Carlo Messina, Ceo, e Gaetano Miccichè, il capo del «corporate» che dovrebbe assumere il ruolo di vicario, si torna a voltar pagina. Ma la composizione del puzzle dei fatti è solo all'inizio.
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