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Paolo Colonnello per La Stampa
Il ruolo di uomo politico ricoperto da Silvio Berlusconi, anche durante gli anni in cui venne commessa la frode fiscale per cui è stato condannato, "aggrava la valutazione della sua condotta".
E per questo, i due anni di interdizione dai pubblici uffici comminati 15 giorni fa dai giudici della terza sezione d'appello, presidente Arturo Soprano, sono da intendersi come il massimo contestabile in questa sede dopo la decisione della corte di Cassazione nell'agosto scorso che confermarono la condanna penale a 4 anni di reclusione per frode fiscale nell'ambito della vicenda sui diritti cinetelevisivi Mediaset calcolati con la riduzione di un terzo rispetto alla pena massima edittale.
"In particolare - scrivono i giudici d'appello cui il processo era stato rinviato per la statuizione delle pene accessorie - la sentenza ha definitivamente accertato che Berlusconi è stato l'ideatore ed organizzatore negli anni '80 della galassia di società estere, alcune delle quali occulte, collettrici di fondi neri e - per quanto qui interessa - apparenti intermediarie nell'acquisto dei diritti televisivi;
lo stesso Berlusconi ha continuato ad avvantaggiarsi del medesimo meccanismo anche dopo la quotazione in borsa di Mediaset nel 1994, pur essendo state parzialmente modificate le società intermediarie, in particolare con la già citata costituzione di IMS, avvalendosi sempre della collaborazione dei medesimi soggetti a lui molto vicini: Lorenzano e Bernasconi, quest'ultimo finché in vita;
tant'è vero che in quel periodo Berlusconi aveva continuato a partecipare alle riunioni "per decidere le strategie del gruppo". "A ciò si deve anche aggiungere - proseguono i giudici - che il ruolo pubblicamente assunto dall'imputato, non più e non solo come uno dei principali imprenditori incidenti sull'economia italiana, ma anche e soprattutto come uomo politico, aggrava la valutazione della sua condotta".
I giudici inoltre, rispondendo alle eccezioni sollevate dai legali del Cavaliere durante il processo, scrivono che la questione della retroattività della Legge Severino e la sua applicabilità nulla ha a che vedere con la decisione dei giudici penali. E ancora, i giudici rilevano che Berlusconi, diversamente da quanto avevano sostenuto i suoi avvocati fuori dall'aula, in realtà non ha ancora pagato gli 11 milioni dovuti al Fisco aderendo alla conciliazione extragiudiziale ma si è limitato a produrre "una mera proposta di adesione" con l'Erario che prevede una rateizzazione dei soldi che il Cavaliere avrebbe dovuto versare al fisco per ottenere un ulteriore sconto sulle pene accessorie: documentazione che non costituisce un presupposto per fruire di un trattamento premiale.
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