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Fabio Tamburini per il “Corriere della Sera”
Il nuovo incarico al vertice della banca d’affari Rothschild?
«Sento l’adrenalina nelle vene per un lavoro del tutto diverso da quelli fatti finora e non vedo l’ora di cominciare».
Rimpianti per l’addio all’Eni?
«Nessuno. Ero preparato all’uscita e non mi è capitata addosso improvvisa».
Matteo Renzi?
«Quello che mi piace di lui è che si sveglia alla mattina con una grande voglia di fare. Punta a riforme importanti. Vedremo se ci riuscirà».
Paolo Scaroni, 67 anni, fino a un mese e mezzo fa amministratore delegato dell’Eni, è diventato il principale collaboratore di David de Rothschild, presidente della banca d’affari. Così, in tempi record, ha voltato pagina e, dopo una vita da manager alla guida di multinazionali come la francese Saint-Gobain, la Techint della famiglia Rocca, Pilkington, l’Enel e l’Eni, è passato dall’altra parte del tavolo, quella dei banchieri.
Perché ha deciso una nuova vita professionale?
«Cambiare è anche un modo per mantenersi giovane e me ne sto accorgendo proprio in questi giorni. Sento la voglia di rimboccarmi le maniche e sperimentarmi su un terreno diverso».
scaroni berlusconi interna nuova
Quando diventerà operativo nel ruolo di banchiere?
«Subito».
Come è nato l’incarico di numero due della Rothschild?
«Mi ha chiamato David de Rothschild, che ho conosciuto bene nei cinque anni in cui eravamo entrambi nel board della banca olandese Abn Amro. Fino a quando il gruppo è stato venduto dopo trattative complesse durate diversi mesi. Proprio in quella circostanza i nostri rapporti si sono approfonditi. Il culmine è stato nell’agosto 2008, quando la gente era al mare e noi abbiamo passato lunghe giornate a chiudere l’operazione, che ha permesso agli azionisti di guadagnare oltre il doppio del valore di Borsa della banca»
Paolo Scaroni and Vladimir Putin April jpeg
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Che effetto le fa il nuovo mestiere?
«La formula vincente sarà mettere a frutto il valore aggiunto dato dalla conoscenza di settori industriali importanti e da una rete di relazioni estesa, soprattutto in Europa».
Dove avrà la sede operativa?
«Passerò buona parte della settimana a Londra, una città dove però non mi sento un emigrante. Lì ho trascorso sei anni della mia vita e ho tanti amici. La considero, da tempo, la mia seconda casa».
Avrà residenza londinese?
«È troppo presto per dirlo. Certo lì sono stato residente dal 1996 al 2002. Vedrò cosa fare. In Italia tornerò per i fine settimana e per i legami familiari. Soprattutto la possibilità di fare week end senza lavorare rappresenta, per me, una novità piacevole».
Fulvio Conti e Paolo Scaroniimage
Perché?
«Chi ha incarichi al vertice dell’Eni riesce a concederseli raramente in quanto il gruppo opera molto con il mondo islamico, che non prevede la pausa del fine settimana».
Cosa le manca dell’Eni?
«La cerchia dei collaboratori più stretti, con cui ho trascorso una parte davvero significativa della mia vita».
Qual è il bilancio come amministratore delegato del gruppo?
«Le rispondo in 30 secondi: in 9 anni la società ha raddoppiato il patrimonio netto e, malgrado questo, ha distribuito dividendi per 36 miliardi. Per questo posso dire di avere creato ricchezza».
Soltanto Enrico Mattei è rimasto in carica nove anni come lei…
«Non confondiamo il sacro con il profano, cioè Mattei con il povero Paolo Scaroni. Enrico Mattei ha lasciato traccia segnando l’identità dell’Eni».
Per esempio in che modo?
«Nel dna del gruppo c’è un filo conduttore: la consapevolezza che il petrolio non è dell’Eni ma loro, dei Paesi dove si trovano i giacimenti».
Lei contava sulla conferma dell’incarico?
«Il mio contratto lo prevedeva ed io ero disponibile».
L’alternativa poteva essere la presidenza?
«Assolutamente no. Non si può fare il presidente dopo essere stato amministratore delegato. Dal punto di vista della governance sarebbe stata una vera bestialità».
In Eni ha conosciuto capi di Stato e di governo diversi da quelli occidentali…
«Spesso gente speciale, che ha avuto esperienze avventurose, conoscendo anche l’esperienza del carcere. La loro vita è come un romanzo, un po’ come la classe politica italiana del dopoguerra, che aveva fatto la Resistenza e la guerra. Ma li vedrò ancora perché anche Rothschild lavora per i governi».
È vero che Renzi le ha offerto l’incarico di supervisore delle politiche del governo nell’energia?
«Non so di cosa stia parlando».
Cosa ne pensa di lui?
«Ha una caratteristica importante in un Paese come l’Italia dove non cambia mai nulla: gli inglesi dicono fire in the belly, ha il fuoco in pancia. Ha l’ambizione di cambiare e vuole farlo in fretta. Ha il senso di quello che gli americani chiamano urgency, cioè l’urgenza di riformare il sistema. Per questo negli Stati Uniti come agli inglesi è un politico che piace».
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Ci riuscirà?
«Sicuramente ci sta provando».
L’ottimismo degli investitori esteri che hanno ripreso a investire in Italia è giustificato?
«Sì, e dipende in larga misura proprio da Renzi. Hanno fiducia che il governo saprà realizzare le promesse fatte».
Lei ci crede?
«Non sono pessimista. L’economia mondiale va molto bene e traina le esportazioni delle imprese italiane. Il combinato disposto con le riforme annunciate da Renzi permette di sperare che la ripresa ci sarà anche in Italia».
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