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SILENZIO, PARLA SCARONI, UNO CHE DI LIBIA ED ENERGIA SA QUALCOSA: ''L'IMMIGRAZIONE DALLA LIBIA E' UN'EMERGENZA, RISCHIAMO DI DIVENTARE LA PROSSIMA CALAIS. IL PAESE NON SI PUO' TENERE UNITO, NOI DOBBIAMO PUNTARE SULLA TRIPOLITANIA'' - ''SUL CASO REGENI È PRESTO PER TIRARE CONCLUSIONI. L'EGITTO È IL PRIMO A GUADAGNARE DAI GIACIMENTI ENI''

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1. LIBIA: MENA, RIAPERTE STRADE, CALMA A TRIPOLI

SCARONI A TAVOLA CON GHEDDAFISCARONI A TAVOLA CON GHEDDAFI

 (ANSA) - L'agenzia egiziana Mena riferisce che "questa mattina a Tripoli regna una calma precaria dopo una tensione che ha accompagnato l'arrivo" del premier designato Fayez Al Sarraj. Oltre che colpi intermittenti di armi pesanti, fra l'altro c'è stata anche la chiusura delle strade principali della capitale. "Le strade sono state riaperte, gli scontri si sono fermati completamente, la situazione è molto calma", scrive l'agenzia citando il nuovo sindaco di Tripoli, Abdelrauf Beitelmal (che l'anno scorso ha preso il posto del battagliero Mahdi al Harati).

 

 

2. «LA LIBIA UNITA, UN SOGNO IMPOSSIBILE L’ITALIA PUNTI TUTTO SULLA TRIPOLITANIA»

Paolo Valentino per il “Corriere della Sera

 

Descalzi ScaroniDescalzi Scaroni

Un governo regionale in Tripolitania. Per finirla con la finzione della Libia, puntando più realisticamente a una stabilizzazione parziale. Un esecutivo più facile da far nascere, dal quale arriverebbe finalmente l’appello dalla comunità internazionale per un intervento che lo sostenga e al contempo agisca contro l’Isis.

È la proposta di Paolo Scaroni, vicepresidente della banca Rotschild ed ex amministratore delegato di Enel ed Eni, grande conoscitore del Medio Oriente e soprattutto della regione nordafricana.

 

Paolo Scaroni Paolo Scaroni

Lei definisce la Libia la «prima emergenza nazionale» per l’Italia. Perché?

«Perché è casa nostra. Credo che avere uno Stato fallito a 80 chilometri dalle nostre coste sia un rischio enorme. In primo luogo per l’immigrazione di carattere economico, incontrollata e incontrollabile, che a differenza del passato rischia di bloccarsi da noi. Con il blocco delle frontiere da parte di molti Paesi, c’è la concreta prospettiva che l’Italia diventi una grande Calais.

 

Quelli che passano dalla Libia non sono siriani, ma povera gente dai Paesi dell’Africa che cercano un futuro migliore. Già nelle prossime settimane potremmo vedere arrivare sulle nostre coste 2/3 mila disperati al giorno. Il problema libico è colossale, ci riguarda direttamente e deve essere al primo posto dell’agenda di governo, non solo per l’immigrazione».

 

E in che modo dovremmo agire?

gheddafigheddafi

«È da mesi, se non da anni, che ci viene ripetuto il refrain: possiamo intervenire in Libia solo se un governo legittimo ce lo chiede. Il punto è che questo governo solido non riusciamo a vederlo. Si succedono aborti di governi, delegittimati nello spazio di poche ore, in conflitto tra di loro».

 

Ma solo i libici possono darsi un governo.

«La verità è che se guardiamo i libri di storia, si scopre che Cirenaica, Tripolitania e Fezzan sono da poco un Paese. Fummo noi italiani nel 1934 a inventarci la Libia, invenzione coloniale che non è sentita da nessuno. Ora, se invece di cercare di comporre questo puzzle difficilissimo, ci semplificassimo la vita e cercassimo di favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che poi facesse appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi, credo che potremmo risolvere parte dei nostri problemi: i nostri migranti economici non vengono da Bengasi, partono tutti dalla costa tripolina».

 

Ma se contemporaneamente non si cercasse di costruire governi regionali anche in Cirenaica e Fezzan, non rischiamo di ritrovarci con un altro governo in guerra con le fazioni delle altre aree del Paese?

libia divisione cirenaica tripolitania fezzanlibia divisione cirenaica tripolitania fezzan

«Nulla ci vieta di spingere perché anche a Bengasi o nel Fezzan si possano creare governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Ma credo che anche un governo nella sola Tripolitania sarebbe molto meglio del caos attuale. Anzi, darebbe l’esempio alle altre aree. Le pulsioni separatiste della Cirenaica sono fisiologiche, quasi endemiche. Cercare di ricostruire artificialmente una unità che non esiste nella percezione della popolazione, mi sembra molto più difficile che trovare soluzioni limitate ma praticabili».

 

E come verrebbero divisi gli introiti petroliferi?

«Ognuno gestirebbe le sue fonti. La società statale dell’energia ha una sede a Tripoli e una a Bengasi. Ci sono risorse in Cirenaica e in Tripolitania».

 

tripoli bruciatripoli brucia

Un eventuale governo regionale non risolverebbe il problema dell’Isis. Che tipo di azione occorre per sconfiggere i jihadisti: raid o intervento di terra?

«La comunità internazionale affronterebbe lo Stato Islamico molto meglio se ci fosse un governo in Tripolitania, che sollecitasse e sostenesse l’azione occidentale. Se dobbiamo aspettare che ci sia un governo nazionale, penso che tra qualche anno saremo ancora qui in attesa».

 

Non c’è il rischio che un intervento sollecitato dal governo regionale venga percepito come un’ingerenza dal resto del Paese?

Giulio RegeniGiulio Regeni

«Direi di no, se si limita al territorio controllato da quel governo legittimo».

 

Il caso Regeni scuote le coscienze. Fino a che punto si possono accettare bugie e depistaggi da parte del governo egiziano, senza mettere in campo misure politiche ed economiche contro il Cairo? Abbiamo interessi enormi in Egitto, dopo la scoperta del giacimento di Zohr che vede l’Eni impegnata in prima persona. Sono anche questi a frenarci?

 

«Faccio solo due osservazioni. Mi sembra un po’ presto per tirare le conclusioni della vicenda Regeni. Primo, dobbiamo essere vigili ed esser certi di non essere presi in giro, per rispetto della famiglia e per la nostra stessa dignità nazionale. Le conclusioni vanno tirate quando sarà chiaro se hanno voglia di darci una risposta seria o meno.

 

VIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENIVIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENI

Secondo, il maggior interesse al gas di Zohr non è dell’Eni o dell’Italia ma dell’Egitto stesso, che ne ha un bisogno disperato. Con lo sviluppo di quel giacimento, il Cairo tornerà infatti a essere autosufficiente. Per questo vanno valutate reazioni intempestive, che invece di punire il colpevole, finiscano per penalizzare la parte sbagliata».

 

 

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GIACIMENTO DI GAS SCOPERTO DA ENI IN EGITTOGIACIMENTO DI GAS SCOPERTO DA ENI IN EGITTO