SE SCARONI TAGLIA IL PETROLIO AD ALITALIA, ARRIVANO I PETROLDOLLARI DEL SULTANO? DIPENDE DAI TAGLI DI ALITALIA E DA CDP

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1. ABU DHABI NON MOLLA: "LA COMPAGNIA CI INTERESSA"
Teodoro Chiarelli per "La Stampa"

Potrebbe arrivare da Abu Dhabi una robusta ciambella di salvataggio per la sempre più pericolante Alitalia. Qui negli Emirati Arabi, dove i quattrini abbondano (350 i miliardi di dollari a disposizione dei fondi sovrani), ma non vengono gettati al vento, guardano con interesse alla convulsa fase che sta attraversando la compagnia aerea italiana. E lo fanno al massimo livello.

Il sultano Bin Saeed Al Mansouri, potentissimo ministro dell'Economia e grande conoscitore dell'Italia che frequenta, per sua ammissione, con regolarità, non è per nulla stupito del capannello di giornalisti italiani che lo blocca mentre sta lasciando la sala della Camera di commercio di Abu Dhabi. Ha appena presenziato all'incontro con gli imprenditori italiani promosso dalla cabina di regia Confindustria-Abi-Ice-Unioncamere, Alleanza Coop e rete Imprese e guidato dal viceministro Carlo Calenda, dal presidente dell'Ice Riccardo Monti e dal responsabile internazionalizzazione di Confindustria, Paolo Zegna.

«La nostra Etihad interessata ad Alitalia? - mette le mani avanti Al Mansouri - E' una questione di aziende private». Poi però blocca lo sciamare di caftani bianchi e dice sornione: «Però, se volete sapere la mia opinione personale...». Ecco allora che il sultano sfodera una conoscenza molto approfondita del dossier Alitalia, con tanto di condizioni da porre e obiettivi da raggiungere.

«Noi siamo interessati ad Alitalia - spiega - ma deve arrivare una buona offerta da parte sua. Sono convinto che lo spazio di mercato esiste: in Italia ci sono 40 milioni di turisti l'anno e 60 milioni di abitanti. Però perché una eventuale alleanza possa aver successo ritengo che Alitalia debba essere ristrutturata in maniera adeguata per far fronte ai problemi che ha».

Al Mansouri ha le idee chiare. «Etihad e le linee aeree degli Emirati sono interessate a svilupparsi globalmente. Ovunque ci sia un buon mercato, noi andiamo. Ma la linea aerea, e vale anche per Alitalia, deve essere ristrutturata in modo da far fronte a elevati standard di qualità ed efficienza». Il ministro emiratino dell'Economia si spinge ancora oltre. «La nostra compagnia è molto soddisfatta dei rapporti che già abbiamo con gli italiani e vuole fare di più, perché la domanda cresce e i vostri aeroporti possono fare da gateway per tutto il traffico che parte qui da noi. Possiamo portare turisti e businessmen in Europa. E questo sarebbe un beneficio anche per Alitalia».

Ma l'interesse per le privatizzazioni italiane da parte di Al Mansouri non si limita all'Alitalia. Il sultano conosce il piano "Destinazione Italia" varato dal governo Letta («è quello che ci voleva») e chiede di vedere i dossier «perché ci attraggono tutte le opportunità di profitto nel mondo. Però ripete come un mantra le tre condizioni irrinunciabili che chiedono gli Emirati: «Chiarezza, trasparenza e stabilità».

Ad Abu Dhabi sono convinti che in Italia ci siano grandi opportunità, tanto è vero che già oggi siamo il loro secondo partner economico in Europa e secondo il ministro emiratino potremmo presto diventare il primo. «Noi abbiamo delle idee che stiamo studiando - conclude Al Mansouri - Non poniamo limite ai settori di intervento: qualsiasi cosa che produca reddito. Adesso dipende da voi».

E proprio a cercare occasioni di business punta la missione avviata ieri negli Emirati con 144 aziende tricolore e 8 gruppi bancari (Guido Rosa dell'Abi ha annunciato che ci sono 1,8 miliardi di euro di finanziamenti pronti per le aziende italiane che vogliono investire nell'area). «Obiettivo di Confindustria - dice Zegna - è di portare qui anche le piccole e medie aziende». Aggiunge Calenda: «Mi piacerebbe vedere qualche investimento specifico degli Emirati nelle nostre aziende. Se riuscissimo, per iniziare, a far finanziare una trentina di medie aziende, sarebbe un volano importante».


2. TENSIONE SU ALITALIA, IN CAMPO FINTECNA
Umberto Mancini per "Il Messaggero"

È Fintecna, una delle società della Cassa Depositi e prestiti, la nuova carta, ma non l'unica, che il governo vuole giocare per il salvataggio di Alitalia. Colpo di scena quindi dopo il lungo vertice a Palazzo Chigi nel corso del quale le Ferrovie hanno presentato un piano articolato d'integrazione e una serie di condizioni per entrare in pista.

Ma i paletti messi da Moretti - in sostanza il manager ha chiesto di avere pieni poteri sulla compagnia aerea - sono stati considerati troppo vincolanti dal premier Enrico Letta che ha scelto di cambiare strada e di stoppare il decollo. Fumata nera quindi o quasi. E tensione alle stelle tra i soci mentre scorre veloce il conto alla rovescia verso l'assemblea del 14 ottobre, chiamata a decidere sulla ricapitalizzazione da 300 milioni.

PERCORSO IN SALITA
Scontato sottolineare che il percorso resta in salita, con tanti ostacoli da superare. Dal vertice, che si è aggiornato ad oggi, è emersa comunque la volontà del governo di non mollare la presa.

Scartata l'opzione Fs, Letta e il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, hanno assicurato ai partecipanti al summit - banche e principali azionisti italiani - che verrà comunque individuato un soggetto pubblico - Fintecna o un altra società pubblica appunto - in grado di supportare lo sviluppo di Alitalia. Di dare cioè garanzie per controbilanciare il potere di Air France. Parigi, che ha il 25% del capitale, resta al momento l'unico partner industriale possibile.

TRATTATIVA AD OLTRANZA
Nonostante l'ottimismo di alcuni soci che hanno partecipato all'incontro, al momento le risorse necessarie alla sopravvivenza della compagnia aerea non ci sono. Tutto resta sospeso, sulla carta. Non c'è infatti ancora nessun impegno formale da parte dell'esecutivo sull'entità dell'intervento e sui tempi. L'obiettivo resta quello già noto di non lasciare Alitalia appesa al suo destino, tutelando, per quanto possibile, posti di lavoro e l'indotto. Non solo.

Dal premier e dai ministri delle Infrastrutture Maurizio Lupi, e da quello dello Sviluppo, Flavio Zanonato, si è puntata l'attenzione anche sullo scalo di Fiumicino che non può esser ridotto ad un hub di serie B. Insomma, il messaggio inviato a Parigi appare chiaro. Più nebulose le modalità con le quali lo Stato vuole far sentire la sua presenza.

IL NODO CDP
Il coinvolgimento di Fintecna - il cui nome è stato fatto più volte durante il vertice - non è comunque scontato. Anche qui, come nel caso della Cdp, che controlla la società, ci sono dei vincoli statutari da superare. E' vero però che un «veicolo pubblico» deve essere individuato perchè le banche, non solo nella riunione di oggi, hanno sottolineato che sono disposte ad aprire il portafoglio solo se il piano di salvataggio vedrà lo Stato coinvolto. Sulla stessa linea i fornitori della compagnia, Adr ed Eni che vantano crediti milionari.

Non è escluso che il governo, dopo un braccio di ferro che potrebbe durare a lungo, riesca a convincere gli istituti di credito ad anticipare i soldi per poi intervenire con più calma in una seconda fase, cioè dopo l'assemblea del 14. Una soluzione che non è vista positivamente dell'ad di Alitalia Gabriele Del Torchio e del presidente, Roberto Colaninno, che sono in pressing costante per chiudere subito la partita.

I Benetton hanno invece fatto sapere che sottoscriveranno la loro quota di aumento di capitale a prescindere dalle decisioni del governo. Posizione di attesa sia per Unicredit, rappresentata dall'ad Federico Ghizzoni, che per Intesa Sanpaolo, era presente al vertice il direttore generale Gaetano Miccichè, convinti entrambe che alla fine, forse già oggi, una soluzione positiva verrà individuata.

IL RUOLO DI SACCOMANNI
Al termine del vertice Enrico Letta ha voluto fare il punto con il ministro Saccomanni. Non c'è infatti solo l'opzione Fintecna sul tavolo (dovrebbe rilevare una quota del 15-20%), anche se escluso al momento un intervento diretto del Tesoro, che avrebbe il sapore di una nazionalizzazione. Di certo con la Cassa Depositi e Prestiti sono stati attivati tutta una serie di contatti per individuare la strada più logica e coerente.

Prestissimo Saccomanni tirerà le somme. «Sono convinto -a ha detto al termine della riunione un azionista di Alitalia - che in tempi rapidi il nodo verrà sciolto, la determinazione a stringere il cerchio è fortissima». Di fatto - e su questo sono tutti d'accordo - si vuole arrivare al 14 ottobre con una scelta precisa. In grado di consentire al fronte italiano di trattare da una posizione di forza o quanto meno alla pari con il colosso francese.

 

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