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1- "RESTERÃ AL MIO POSTO FINO ALLA MORTE"
IL NUMERO UNO DI GOLDMAN: FACCIO IL LAVORO DI DIO
Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Io faccio il lavoro di Dio». Non c'è da stupirsi poi se Lloyd Blankfein, capo di Goldman Sachs che così parlò al Times nel 2009, ripete oggi che intende morire alla sua scrivania: «Io ho 57 anni, cosa farò con gli altri 60 che mi restano da vivere? Il governo probabilmente non mi chiamerà . Questo mi lascia solo la possibilità di restare per sempre e morire al mio tavolo».
E' così che i grandi banchieri americani interpretano il loro ruolo? Un potere donato da Dio, che solo Dio può togliere? E quali effetti producono queste uscite sulla gente, che perde il lavoro per una crisi provocata dalla leggerezza delle banche, ma vede i loro capi seduti a vita sulle proprie poltrone?
Quella di Blankfein è una storia suggestiva. E' nato a New York nel 1954 da una famiglia ebrea, ma non viene dall'elite dei privilegiati. Suo padre faceva il postino e sua madre la centralinista. All'inzio abitavano al Bronx, ma poi si erano trasferiti a Brooklyn, nelle case popolari del complesso Linden Houses. Lloyd era andato alle scuole pubbliche, dove si era distinto così tanto da guadagnarsi l'ammissione all'università di Harvard.
Tipica storia da sogno americano: umili origini, grande destino, grazie a lavoro e capacità . Era entrato a Goldman Sachs nel 1981, come semplice venditore di metalli preziosi nella sede di Londra. E' diventato chief executive officer e presidente della compagnia nel 2006, quando Bush aveva chiamato a Washington il suo predecessore Henry Paulson, per affidargli il dipartimento del Tesoro. Compenso del primo anno: 54,4 milioni di dollari, tra stipendio e bonus.
Blankfein è arrivato alla guida di Goldman Sachs proprio alla vigilia della grande crisi del 2008, ma è riuscito a navigare nella tempesta, sfruttando bene le occasioni che offriva. Così bene che nel 2009 la rivista Forbes lo aveva nominato «il ceo più oltraggioso dell'anno». Il Financial Times invece lo aveva incoronato come miglior banchiere della stagione, con questa motivazione: «La sua banca è rimasta legata ai propri punti di forza, avvantaggiandosi senza vergogna degli interessi bassi e della riduzione della concorrenza a causa della crisi, per fare grandi profitti».
Una definizione che per alcuni descrive uno squalo, e per altri un genio. Lui, sempre nel 2009, aveva modestamente dichiarato al Times che stava compiendo l'opera di Dio, tranne poi pentirsi e chiarire che era solo uno scherzo.
Goldman Sachs in realtà è finita sotto la lente della crisi, ad esempio perché non aveva rivelato ad alcuni clienti che stava scommettendo proprio contro i prodotti che intanto vendeva. Nel marzo scorso Greg Smith, ex funzionario della banca, aveva sbattuto la porta spiegando con un articolo sul New York Times perché andava via: assoluta mancanza di etica nella leadership, al punto che gli investitori venivano definiti "pupazzi" da spennare.
Eppure Blankfein è rimasto al suo posto, incassando sempre più profitti. E dopo le disavventure di Jamie Dimon, che ha perso un paio di miliardi a J.P. Morgan, è diventato quasi un santo. Si definisce «democratico, e repubblicano modello Rockfeller: conservatore sui temi fiscali, liberal su quelli sociali». Ha donato parecchi finanziamenti elettorali a Hillary Clinton e poi ad Obama, ma non si aspetta di essere chiamato a Washington come i predecessori Paulson e Robert Rubin, perché in questo momento i banchieri non sono all'apice della popolarità . Così, parlando mercoledì al Chicago Club, ha illustrato i suoi piani monarchici: «Il mio è il lavoro più bello del mondo. Quando va bene, è impossibile lasciarlo. Quando non va non puoi abbandonarlo, perché il tuo senso di responsabilità te lo impedisce». Resterà li, dunque, finché Dio vorrà .
2- CRISI: BLANKFEIN, "MOMENTO CRITICO PER EUROPA, NESSUNO SA COSA SUCCEDERA'"
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - La congiuntura del Vecchio Continente "si trova in un momento critico" e se l'Europa "fallira', non si riprendera' per un paio di generazioni". Come riporta il New York Times, lo ha detto Lloyd Blankfein, amministratore delegato di Goldman Sachs, durante un intervento all'Economic Club di Chicago
Il numero uno del colosso bancario non ha fatto previsioni specifiche: "l'unica cosa certa e' che nessuno sa cosa succedera'", ha detto, sottolineando che la Germania "ha in mano molte carte da giocare", ma finora tutto quello che ha fatto "e' stato dare sostegno senza dare sostegno".
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