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Federico Fubini per "La Repubblica"
VANNO ceduti altri pezzi importanti del capitale di Eni e di Enel. Lo Stato non ha più assoluto bisogno di mantenersi sopra il 30%, la quota di controllo, nelle sue più grandi società quotate. Può anche scendere di un altro 10% senza dover temere per questo scalate ostili di investitori esteri. La speranza è che anche il premier Matteo Renzi se ne convinca.
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e la sua squadra ci stanno riflettendo seriamente, perché conoscono alla perfezione i vincoli entro i quali il Paese si muove. Il debito pubblico era intorno al 120% del prodotto lordo nel 2011 e, secondo le stime del Documento di economia e finanza (Def), salirà al 134,9% quest'anno.
Se il governo vuole arrestare questa dinamica esplosiva e invertirne la tendenza, le privatizzazioni avranno un ruolo. Per questo nella sua ultima lettera alla Commissione europea, Padoan non si è limitato a dire che il governo rallenterà il ritmo di riduzione del deficit.
Il ministro ha presentato anche un progetto di cui solo ora iniziano a emergere le implicazioni: per cercare di ridurre comunque il debito, l'Italia accelera il programma delle privatizzazioni. Il governo di Enrico Letta, con Fabrizio Saccomanni all'Economia, prevedeva per tre anni entrate da dismissioni per lo 0,5% del Pil. Renzi e Padoan, nel Def, alzano invece l'obiettivo allo 0,7% del Pil nei quattro anni fra il 2014 e il 2017.
Significa trovare beni per nove miliardi in più da mettere sul mercato solo da qui al 2016. Quindi, per altri dieci miliardi nel 2017. In tutto è un'operazione che vale l'1% del prodotto lordo in più: senza di essa, l'intera traiettoria di riduzione del debito risulterebbe seriamente alterata.
Il problema di Padoan è che nel pacchetto di cessioni ereditato da Saccomanni, anche rafforzato, quei 19 miliardi in più entro il 2017 non ci sono. A giugno partirà l'apertura del capitale di Fincantieri, un'operazione che vale circa un miliardo. Quindi entro l'autunno Padoan insiste per mettere sul mercato anche una quota importante di Poste Italiane, in modo da incassare fino a cinque miliardi supplementari.
A stadi di preparazione più o meno avanzati di sono poi le cessioni di Sace e Cdp Reti da parte di Cassa depositi e prestiti, la quale girerebbe un dividendo straordinario al Tesoro. E forse persino prima arriverà la vendita del 49% di Enav, l'ente di controllo aereo, da cui può arrivare un altro miliardo. Poi ancora le Grandi Stazioni e magari una quota dell'Alta velocità delle Ferrovie dello Stato.
L'algebra non lascia scampo: niente di tutto questo garantisce i 40 miliardi di entrate da privatizzazioni in quattro anni su cui Padoan si è impegnato a Bruxelles. Né è verosimile arrivarci grazie a cessioni di immobili pubblici o di società di servizio controllate da Comuni, Provincie o Regioni.
Queste ultime spesso sono dissestate. Servirebbe troppo tempo per preparare le vendite e i relativi incassi risulterebbero comunque ridotti. L'idea del Tesoro di lavorare ancora su Eni e Enel nasce di qui: mancano le alternative realisticamente praticabili.
Le quote che andrebbero sul mercato potrebbero arrivare a circa il 10% del capitale per entrambe le aziende, in modo da alzare nettamente il flusso di entrate da privatizzazioni.
Il gruppo dell'energia vale oggi 68,7 miliardi e quello elettrico 39,4 ma per entrambi, soprattutto il secondo, c'è la speranza che il recente ricambio al vertice porti un rafforzamento in Borsa. Il ministero dell'Economia ha fiducia che la futura gestione dell'Enel da parte di Francesco Starace si riveli misurabilmente migliore di quella di Fulvio Conti, l'amministratore delegato uscente.
Eni ed Enel non sarebbero comunque operazioni imminenti: la cessione di quote arriverebbe nella seconda metà del piano quadriennale di privatizzazioni, a partire dal 2016. Per Eni ciò ovviamente deve coinvolgere la Cassa depositi, che è
controllata dal Tesoro e possiede il 26,4% del gruppo dell'energia (il governo controlla direttamente solo il 3,9%).
Il principale problema da risolvere resta il fatto che lo Stato scenderebbe sotto il 30%, la quota che garantisce il controllo. Quanto a questo, si pensa a un sistema di azioni con potere di voto multiplo, in modo che anche al 20% del capitale il Tesoro continuerebbe a esercitare i suoi poteri sulle imprese. Un passaggio del genere dovrà superare il vaglio della Commissione europea, ma non mancano i precedenti e al Tesoro lo si ritiene possibile.
Resta poi un ultimo, non trascurabile dettaglio: va convinto Matteo Renzi. Per il momento il premier e Padoan hanno imparato a cooperare bene insieme, dopo essersi incontrati per la prima volta a governo ormai formato. Ma entrambi sanno che i test più difficili arriveranno da ora in poi.
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