TE LO DO IO IL 2024! - CARLO FRECCERO: “NELL’EPOCA DELLA NOTIZIA TAROCCATA, IL GOSSIP RAPPRESENTA…
Flavio Pompetti per ''Il Messaggero''
Si allarga il portfolio di partecipazioni azionarie della Toyota. La più grande delle case automobilistica del Giappone acquisterà il 4,9% del capitale della Suzuki, al costo di 908 milioni di dollari. A sua volta la quarta per dimensione tra le case giapponesi comprerà lo 0,2% delle azioni Toyota, con 454 milioni di dollari di spesa. L'accordo è stato giustificato dalla necessità di entrambe le aziende di tagliare i costi della ricerca, specialmente nel campo della ricerca e sviluppo di auto elettriche. Ma uno sguardo più in profondità al mercato globale dell'automobile rivela piuttosto che la manovra è un passaggio obbligato in un modello di sviluppo che sta puntando in una direzione univoca in tutto il mondo: la concentrazione tra le aziende di settore. La Toyota aggiunge la perla Suzuki ai gioielli che già possiede, tra i quali il 51% della Mazda, il 16,8% della Subaru, e la totalità della Daihatsu.
L'AVVICINAMENTO
La collaborazione permette alla casa fondata 110 anni fa da Michio Suzuki di tirare le redini nel mercato indiano nel quale aveva finito per puntare gran parte delle sue carte, e che si trova al momento in una dura fase di recessione. La Toyota guadagna invece un accesso al mercato indiano e a quello africano, nei quali le microvetture costruite dalla Suzuki hanno stabilito finora una presenza significativa. L'accordo è allo stesso tempo un segnale di avvicinamento delle due aziende, in un mercato maturo nel quale non c'è più spazio per la frammentazione che ha caratterizzato finora il Giappone.
La stessa dinamica ha favorito negli ultimi anni una serie di collaborazioni che hanno avvicinato sulle altre piazze occidentali la Volkswagen alla Ford, la Daimler alla Bmw, e quest'ultima alla Jaguar-Land Rover, oltre alle acquisizioni di Chrysler ad opera della Fiat, e di Opel, nelle mani di Peugeot. L'urgenza sta ora contaminando anche piazze che fino a ieri consideravamo in espansione, come la Cina e l'India. Nella prima le tensioni commerciali e una saturazione del mercato interno hanno portato ad una caduta della domanda di nuove auto del 14%, e al paradosso che una delle prime aziende di bandiera la Brillance, deve oggi l'85% dei suoi utili alla joint venture con la Bmw, mentre il resto delle attività locali sono in perdita.
LA PROSPETTIVA
Questa contingenza ha spinto lo scorso febbraio la capofila delle case cinesi: la Gely, a stringere a sua volta un accordo di partnership con la Daimler. In India l'emergenza è ancora più acuta, con il mercato in picchiata (-18,4%), e la prospettiva che gli attuali 5 milioni di lavoratori del settore diventino 4 milioni entro il 2020. Non va meglio negli Usa, dove una recente analisi della Merril Lynch prevede la perdita del 30% delle vendite di auto entro il 2022.
L'esperienza ci dice che le unioni di maggior successo tra case automobilistiche vengono decise in tempi di crisi (vedi Fca), mentre quelle fatte in tempi di espansione (Daimler e Chrysler nel '98) possono fallire. Non è una sorpresa quindi se le difficoltà che stanno insidiando la Nissan, costretta a tagliare 12.500 posti di lavoro, finiscono per riportare in primo piano la trattativa per un accordo a tre con Renault e Fca, collassata lo scorso 6 di giugno con il ritiro dell'offerta che John Elkann aveva messo sul tavolo.
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