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Carlotta Scozzari per Dagospia
Alla famiglia De Benedetti, prima socia di Sorgenia al 53% attraverso la Cir, proprio non deve essere andata giù la nota arrivata ieri sera da Standard & Poor's. L'agenzia di rating, da una parte, ha confermato i giudizi "BB/B" sulla holding della famiglia dell'ingegnere, ma, dall'altra, ha ridimensionato da "positive" a "stabili" le prospettive (in gergo finanziario l'outlook).
"La revisione dell'outlook - spiega S&P - segue la decisione di Sorgenia di congelare il pagamento degli oneri sul debito bancario da 1,8 miliardi, il rimborso della maggior parte del quale è previsto per il 2015, nell'ambito di intense discussioni sul rifinanziamento".
A sintetizzare in maniera efficace quel che è successo a Sorgenia è la stessa agenzia di rating nella nota di ieri sera: "La controllata di Cir attività nella generazione di energia e nella fornitura di gas (che, nata nel 1999, ha avuto senza dubbio la sfortuna di trovarsi a crescere e a sviluppare il business in un momento in cui sull'economia è piombata una crisi senza precedenti, ndr) ha un indebitamento bancario molto elevato mentre la sua performance operativa è stata deludente".
Ma quello attuale è un momento particolarmente delicato e la mannaia di S&P, che agita lo spettro di un possibile declassamento del rating di Cir in futuro per colpa di Sorgenia, proprio non ci voleva. Di questi tempi, infatti, la famiglia De Benedetti, per risolvere il nodo della controllata dell'energia, sta trattando su due fronti complessi e qualsiasi interferenza dall'esterno potrebbe creare problemi.
Innanzi tutto, si pone il dilemma di ristrutturare il debito bancario da 1,8 miliardi che soffoca la società . L'istituto di credito più esposto è Monte dei Paschi di Siena, pure azionista di Sorgenia all'1,2%, con 600 milioni circa, pari al 33% del debito; si trova distanziata la Mediobanca di Alberto Nagel con 140 milioni; seguono a ruota Intesa, Unicredit, Bpm, Ubi e Banco Popolare con quote tra i 50 e i 100 milioni a testa; e in coda ci sono Carige, Etruria e Banca del Monte di Parma, esposte per meno di 50 milioni l'una.
Andrea Mangoni, amministratore delegato di Sorgenia dallo scorso luglio, nell'incontro con le banche del 18 dicembre è stato chiaro: se non si riduce il fardello del debito non si va avanti. E per andare avanti bisogna alleggerirsi di almeno 600 milioni. E' proprio su questa cifra che si gioca il futuro della Sorgenia e, di riflesso, della capogruppo Cir. La famiglia De Benedetti, che dal 2008 non ha preso parte ad alcun aumento di capitale, sembra infatti intenzionata ad aprire il portafoglio per tappare il buco da 600 milioni a patto però che facciano qualcosa anche le banche, attraverso una rinuncia a parte del debito e/o una ristrutturazione dello stesso, e gli altri soci forti, gli austriaci di Verbund.
E qui si arriva alle "dolenti note" di dicembre, quando, appena due giorni prima di Natale, si è saputo che gli azionisti austriaci hanno azzerato il valore a bilancio della propria partecipazione del 46% in Sorgenia. Annullando, di riflesso, il valore da loro stimato per l'intera società . Che invece, secondo recenti stime di Equita, varrebbe anche nello scenario più conservativo almeno 150 milioni. Una cifra lontana comunque anni luce dai 3,9 miliardi di valore che erano stati stimati nel 2008, quando cioè Verbund, che allora ambiva a diventare prima socia di Sorgenia, si era fatta carico da sola di un aumento di capitale da complessivi 350 milioni.
Ma adesso basta, hanno già messo le mani avanti gli austriaci: Verbund non parteciperà più ad alcuna eventuale ricapitalizzazione. Ed è qui che la famiglia De Benedetti è impegnata nella seconda trattativa delicata, oltre a quella con le banche: si sta cercando di convincere i soci a rivedere la propria decisione e a mettere mano di nuovo al portafoglio. E' chiaro infatti che il buco da 600 milioni dovrà essere ripianato in parte con un accordo con gli istituti di credito e in parte con un aumento di capitale.
Cosa succederà se Verbund resterà ferma sulle proprie posizioni e dunque se i De Benedetti dovessero trovarsi a ricapitalizzare Sorgenia da soli, non è dato sapere. Ipotizzando che gli austriaci non cambino idea e un accordo con le banche che alleggerisca il debito di 300 milioni, gli altri 300 necessari a colmare il buco li metterà la famiglia dell'ingegnere da sola?
Se così fosse, sarebbero comunque meno dei 350 milioni apportati dagli austriaci dal 2008 a oggi. Ma certo, se così dovessero andare le cose, alla Cir non dovrebbe fare molto piacere essere costretta a spendere in questo modo gran parte dei 360 milioni netti ricevuti dalla Fininvest di Silvio Berlusconi per il lodo Mondadori. E allora per Sorgenia potrebbero aprirsi nuovi scenari, compreso quello del ricorso a un concordato preventivo.
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