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DAGOANALISI
Quando mancano meno di due settimane dall'assemblea degli azionisti Rcs decisiva, comunque andrà a finire, per le sorti del gruppo e del "Corriere della Sera", dal "patto di sindacato" si defila pure - dopo ben sette anni -, il suo presidente, Giampiero Pesenti.
La notizia è registrata nelle pagine economiche dal quotidiano diretto da Flebuccio de Bortoli senza alcun commento.
Anche il comitato di redazione tace dopo aver firmato un "accordicchio" con l'azienda.
Un'intesa sugli esuberi di organico e sui benefit (da cancellare come se non rappresentassero una voce dello stipendio) ancora tutta da verificare con l'ad Pietro Scott.
Nulla da segnalare, insomma, da parte della redazione nonostante l'abbandono del padrone di Italcementi (Pesenti senior) renda ulteriormente evidente la profonda disaffezione dei soci industriali nei confronti della "corazzata" di via Solferino, che rischia di affondare.
La nuova "ferita" tra i Poteri marci rivela pure, se ancora ce ne fosse bisogno, come la plancia di governo (patto di sindacato) non soltanto è divisa, ma è senza una rotta sicura che possa portarla - senza strappi (compresi quelli legali e giudiziari annunciati da Della Valle) -, alla scadenza della primavera 2014.
Meno sorprendente è il silenzio assordante degli editorialisti à la carte del giornale (Giavazzi, Alesina, Bragantini etc) che dopo aver predicato contro il capitalismo "all'italiana" e le sue lobby impresentabili, ora hanno messo la sordina su quanto accade nell'azienda, che li ospita e li paga profumatamente.
Già . Va bene non sputare nel piatto in cui si mangia magari solo per educazione, ma un minimo di decenza dovrebbe portarli a non fare altrettanto nelle tavole imbandite fuori dalla propria casa di via Solferino.
Altrimenti si rischia, come nel caso di Giavazzi, il doppio o il triplo conflitto d'interessi (ad personam). Soprattutto se si aspira, com'è già accaduto, a farsi nominare consigliere d'amministrazione di quella Mediobanca (azionista dominus dell'Rcs) che fu presieduta anche dal suo invidiato genero, Francesco Cingano. Un'ambizione sbagliata, trasformatasi - ahimè per lui -, in una solenne trombatura.
Basta andarsi a rileggere quanto fuoco polemico dispiegava l'ex consulente di Mario Monti a palazzo Chigi, il professor Francesco Giavazzi, quando invece il Corrierone rischiava di finire, con l'appoggio occulto della Banca di Lodi di Fiorani e della Bankitalia di Fazio, nelle mani dei cosiddetti "furbetti del quartierino" (Ricucci&Company). E oggi neppure un belato bocconiano di fronte al Meccano "Corriere" (metafora tanto cara a Giavazzi) che va a pezzi per colpa dei sassi messi negli ingranaggi dai suoi soci-padroni.
Al professor Giavazzi, tuttavia, almeno un merito (postumo) va riconosciuto: nel febbraio del 1998 dalle colonne del quotidiano (prima direzione di Flebuccio de Bortoli) propose di quotare in Borsa il Corrierone per "accompagnarlo" nelle sue future trasformazioni (multimedialità ), che richiedevano grandi risorse. Ma nessuno dei Poteri marci gli ha dato mai ascolto. E lui si è messo l'anima (in pace) e la collaborazione (nel portafoglio).
Una strada, la quotazione in piazza Affari, imboccata, senza successo, dal "Sole 24 Ore" di proprietà della Confindustra, che nel giro di pochi anni, però, si è divorato tutto il capitale raccolto a causa di una gestione poco oculata se non addirittura megalomane. A iniziare dalla nuova sede di via Monterosa by Renzo Piano la cui "firma" di archistar non ha portato fortuna nemmeno al "New York Times".
Una sorte migliore nel campo del mattone d'oro non ha baciato neppure il "Corriere della Sera", il quale ha speso una fortuna tra il nuovo torracchione di Crescenzago (Stefano Boeri) e l'ampliamento della sede storica di via Solferino-San Marco (Gregotti&Associati), appena messa in vendita. Un'opera faraonica, inutile e dai costi di gestione insostenibili.
Alla fine degli anni Novanta, e ancor prima di perdere la memoria, anche il banchiere-editorialista Salvatore Bragantini (ex Consob en passant) parlava di "mercato delle pulci" riferendosi alle "rovine fumanti" della stampa italiana posseduta dai Poteri marci.
Fino a osservare: "Nessuno di questi giornali (Corriere incluso, ndr) è stato comprato avendo riguardo dell'investimento. Tutti - aggiungeva - sono considerati centri di potere, o di pressione, funzione che svolgono egregiamente".
Non era la scoperta dell'America quella del Bragantini-Colombo, ma forse oggi il nostro neppure si ricorda di averla fatta quella lunga traversata.
Negli ultimi quindici anni, fuori Cesare Romiti (HdP) - che invitava, sia pure inascoltato, i giornalisti, a "tirarsi su le braghe" -, non c'è stato mai ma un reale cambiamento di uomini nel "patto di sindacato".
Tutto, insomma, è avvenuto nel segno della continuità assicurata dalla governance architettata in Mediobanca dal notaio di riferimento dell'Rcs, Piergaetano Marchetti (altro conflitto d'interessi palese). Così, prima di pestarsi i piedi, gli azionisti di riferimento hanno continuato a ballare vispi sul "Corazzata Corriere" sempre più appesantita dai debiti.
E insieme al rosso crescente di bilancio, aumentava proporzionalmente in Rcs - sotto gli occhi compiacenti della Consob -, pure il tasso di conflitto d'interessi tra i Poteri marci.
Lì raccolti a godersi l'immunità del giornalone e a spartire (utili e crediti) con i "compari" di un sistema bancario ormai avviato anche lui sulla strada della catastrofe.
Con gli istituti di credito, in testa la pia Compagnia del San Paolo dell'ormai impresentabile Abramo Bazoli - stando ai si dice sarebbe destinato a sostituire Pesenti (Italmobiliare) nel ruolo di presidente del "patto" -, che con una mano (Banca Intesa) presta i soldi all'Rcs, di cui è debitore e azionista (Mittel), e con l'altra (dismissioni a spese dei dipendenti) se li fa restituire, con gli interessi.
Uno scandalo che da qualche tempo è sotto gli occhi di tutti, ma che l'organo di vigilanza, la Consob guidata da Giuseppe Vegas, fa finta di non vedere.
O, peggio, tollera una situazione a tutto danno degli azionisti fuori del patto che vedono i loro titoli cadere sotto la soglia di un euro.
Forse nella sede di via Isonzo i controllori della Borsa ignorano che l'attuale disciplina considera "parti correlate" anche i partecipanti ai "patti di sindacato". E che le stesse norme della Consob - a differenza di quanto si può leggere nelle cronache dei giornali sul presunto ruolo di "mediatore" tra gli azionisti svolto dal presidente dell'Rcs, Angelo Provasoli -, precisano pure che i consiglieri indipendenti (come appunto Provasoli) non possono condurre trattative", ma soltanto ricevere "un flusso informativo completo e tempestivo" dagli azionisti.
A giudizio dell'economista Alessandro Penati ("la Repubblica"), costretto a suo tempo a lasciare la collaborazione al "Corriere" sotto le pressioni del socio di turno "incazzato", Marco Tronchetti Provera (poi arriverà il turno di Massimo Mucchetti messo ai margini da Paolo Mieli), quanto accade in Rcs è "esemplare dei problemi che le strutture proprietarie bizantine e i conflitti d'interesse delle banche creano alle aziende quando devo ristrutturare per sopravvivere alla crisi".
Storia vecchia si dirà .
Nello scorrere degli anni, e guardando al suo declino editoriale e finanziario, l'Rcs è diventata un po' la madre (scomoda) di tutti i "conflitti d'interesse" dei Poteri marci (ingrati). Non è casuale allora che oggi dal "salotto buono" di via Solferino - in cui il potere di scambio si è ridotto a zero -, i soci industriali, contrari alla ricapitalizzazione-capestro, se ne stiano fuggendo a gambe elevate.
Con buona pace del suo santo protettore, Abramo Bazoli, che il Corrierone di domenica torna a incensare in occasione della presentazione a Torino di "Una storia italiana, dal Banco Ambrosiano a Intesa San Paolo" scritto per l'editrice il Mulino da Carlo Bellavite Pellegrini. Senza tuttavia mai riferire ai propri lettori che il Bazoli "unto dal signore" è uno dei padri-padrone del quotidiano milanese.
Ormai è acqua passata il salvataggio dell'Ambrosiano e la cancellazione brutale e ingiustificata del marchio storico della Banca Commerciale (Comit) del mitico Raffaele Mattioli, ai tempi della fusione con Banca Intesa.
Una "vendetta", assurda quanto stupida, quella del pio (tutto) Abramo Bazoli nei confronti del "nemico" Enrico Cuccia e della finanza laica raccolta in Mediobanca. Altro che baci e abbracci tra gli Gnomi in guerra della finanza pietrificata italiana. Come invece si vuol far credere nelle ricostruzioni al miele!
La Comit era uno dei pochi brand stimati e conosciuti nel mondo. E sapete chi c'era tra i pochi a criticare il duo Bazoli-Passera dell'allegra compagnia del San Paolo per quell'imperdonabile misfatto? L'attuale direttore del "Corriere della Sera", Flebuccio de Bortoli.
Tanta acqua è passata, dicevamo, sotto i ponti di Mediobanca e di un sistema bancario a rischio bancarotta.
Come ha osservato acutamente il professor Giulio Sapelli nel suo volumetto "Chi comanda in Italia" (Guerini e Associati), non c'è più la Mediobanca di Cuccia&Maranghi "a socializzare le perdite e a privatizzare i profitti". E davanti alla fine del "potere situazionale" di Mediobanca si è aperta allora "una terra di nessuno" in cui i Poteri marci non sanno più orientarsi.
Alla luce di questo potere ridotto ormai allo "stato gassoso" (Sapelli) i destini dell'Rcs e del Corrierone appaiono ancora più opachi nella presa d'atto che, ancora una volta, sarà proprio la Mediobanca di Alberto Nagel e Renato Pagliaro - primo azionista nel patto -, a tentare di salvare baracca e burattini.
Come? Attraverso l'intesa (ritrovata) con la Fiat di Yaki Elkann, che vuole sbarazzarsi de "la Stampa" di Torino, e grazie alla mediazione (infinita) di Abramo Bazoli. Il pio (tutto) pronto a perdonare anche l'impertinente Della Valle. Ma l'impresa appare disperata.
Ai ragazzi di piazzetta Cuccia non verrà meno neppure l'appoggio (esterno) della Pirelli di Tronchetti Provera, che per salvare la sua Camfin ha bisogno della montagna di liquidatà (miliardi) messagli a disposizione proprio da Banca Intesa. E non può slegarsi dal "patto" come, invece, vorrebbe.
Ecco segnalato l'ultimo di uno dei tanti onerosi "prestiti" elargiti dalla compagnia di Abramo Bazoli (Tassara, Alitalia, Telco, Rcs) che, secondo i calcoli dell'economista Luigi Zingales, ha impegnato la banca per 1,3 miliardi e 756 milioni di capitale investito "che è costato ad Intesa perdite pari a 624 milioni". Alla faccia degli obiettivi sociali e umanistici del pio banchiere bresciano.
Da Banca Intesa a Mediobanca, il discorso non cambia.
Nelle ultime vicende oscure dell'Rcs, Nagel&Pagliaro convivono ancora con un perenne e ormai non più tollerabile conflitto d'interessi. Nel caso davvero emblematico dell'acquisizione-pacco spagnolo di Recoletos da parte di Rcs a guadagnarci (50 milioni di euro), è stata soltanto Mediobanca. Un po' strano no? visto che a piazzetta Cuccia non gestiscono una sala da gioco.
Poi, sempre sotto gli occhi sonnolenti della Consob, la banca d'affari ha spesso pesantemente condizionato le quotazioni dell'Rcs in Borsa, alzando senza alcuna ragione il suo rating.
Tra i casi più clamorosi di un presunto insider trading va ricordato l'"outperform" assegnato al titolo di via Solferino nella primavera del 2009. "Il tutto - come ha rivelato Tito Boeri su lavoce.info - a pochi giorni dalla presentazione di una trimestrale disastrosa per il gruppo con perdite più che raddoppiate (...) ricavi in calo quasi del 20% e debito salito a 1,2 miliardi...".
Sulle note (fasulle) dell'Aida, suonata dai pifferai di piazzetta Cuccia - osservava ancora Boeri richiamando l'attenzione della Consob -, nel giro di due sole sedute il titolo Rcs si apprezzava del 46%.
Nel dibattito seguito all'intervento del professor Tito Boeri su lavoce.info, un lettore, oltre a dare ragione alla sua analisi critica sull'operato di Mediobanca, aggiungeva: "Veramente il buon Dagospia solleva il problema Consob da giorni, ma nessuno se n'è accorto".
Fino a quando valeva la pena occupare un strapuntino in Rcs, i vari Rotelli, Della Valle, Benetton, Merloni e Pesenti hanno continuato tuttavia a giocare al Monopoli dell'editoria. "Non si grida allo scandalo uscendo da un cinema a luci rosse; basta non entrarci", li ha bastonati opportunamente Alessandro Penati.
Fin troppo buono, a dirla tutta. In quelle sale di via Solferino, intitolate agli incolpevoli Montanelli e Buzzati, in realtà non si mostravano scene di sesso più o meno spinte, ma spezzoni di un film dell'horror in cui non è stata scritta ancora la parola fine.
GIAMPIERO PESENTI dmtia30 della valle mieliFRANCESCO GIAVAZZI jpegVianello Mucchetti DeBortoli DeBenedetti Bazoli Geronzi SEDE CORRIERE DELLA SERA Salvatore Bragantini giuseppe vegas PIETRO SCOTT JOVANE AL CONVEGNO DI A SULLA TELEVISIONE Angelo ProvasoliALESSANDRO PENATIRAFFAELE MATTIOLI enrico cuccia x agnelli enrico cucciaGIOVANNI BAZOLI FOTO ANSA ENRICO LETTA GIOVANNI BAZOLI FOTO INFOPHOTOMucchetti Bazoli Bazoli Geronzi Enrico Cucchiani Giovanni Bazoli Banca Intesa GIOVANNI BAZOLI FOTO DI ANDREA PUGIOTTO PER STYLE bncitl45 bazoli enrico letta
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