DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Michele Chicco per www.wired.it
Sarà uno stop graduale, ma la strada è segnata. La Banca centrale europea dal primo gennaio 2019 smetterà di acquistare titoli di Stato emessi dai paesi dell’unione monetaria. Festa finita e addio al Quantitative easing. Il programma era stato voluto nel 2015 da Mario Draghi, presidente della Bce, per sostenere il debito pubblico dell’Eurozona e immettere liquidità sui mercati. Il sipario calerà lentamente: il Qe terminerà a gennaio, ma già in autunno gli acquisti di Francoforte saranno dimezzati. Dagli attuali 30 miliardi di euro di titoli comprati dalla Bce ogni mese, la spesa scenderà a 15 miliardi di euro da ottobre fino all’ultima asta di dicembre.
Da lì in poi ognuno dovrà cercare sul mercato i suoi acquirenti. E per chi deve vendere non sarà semplice sostituire un cliente affidabile come Mario Draghi. Da quando è partito il Qe a ora, l’Italia ha piazzato nelle cassaforti dell’Eurotower titoli per quasi 345 miliardi di euro, la Francia 396,6 e la Germania 485,5. Per rendere lo stop al Qe meno amaro, la Bce ha fatto due promesse: Francoforte non toccherà i tassi di interesse almeno fino all’estate del 2019 e continuerà “per un prolungato periodo di tempo” a reinvestire il capitale rimborsato dai titoli in scadenza in nuovi bond.
L’impatto sul debito pubblico
La scelta di continuare a reinvestire nel debito dell’Eurozona permetterà di contenere il panico degli investitori e di tutelare i conti pubblici degli Stati più esposti. Grazie a questa decisione, per alcuni mesi o anni, spiega a Wired Carlo Milani, economista e direttore di Bem Research, “la liquidità immessa fino ad ora rimarrà tale e non cambierà lo stock di titoli posseduti dalla Banca centrale”.
Ma con la fine del Quantitative easing pian piano “uscirà dal mercato un compratore che ha acquistato grandi quantità di titoli negli ultimi anni. I tassi gradualmente aumenteranno e cresceranno gli interessi sul debito pubblico che ogni Stato dovrà ripagare”. Senza il paracadute della Banca centrale europea, disposta a comprare titoli a go-go, il pericolo di default dovrà essere ben remunerato, bisognerà spendere di più per farsi prestare soldi: “Salirà il costo per gli interessi e sicuramente ci sarà un impatto sul deficit”.
Tradotto: meno spazi di manovra per i governi europei. Il Centro Europa Ricerche, in uno studio firmato da Milani, ha stimato in 950 miliardi di euro la minor spesa in interessi sul debito per l’intera Eurozona, tra il 2007 e il 2017. La Germania, grazie ai tassi bassi, ha evitato di spendere 280 miliardi, la Francia 230 e l’Italia ha risparmiato “140 miliardi, il 6% del suo stock di debito”. Da gennaio la musica cambierà. I paesi più forti saranno percepiti come meno rischiosi e potranno emettere titoli con tassi di interesse sempre meno cari. L’effetto è noto: si allargherà ancora di più lo spread tra le economie più deboli, come Italia e Spagna, e quelle più solide, come la Germania.
L’effetto domino su mutui e prestiti
Oltre a impattare sui conti pubblici nazionali, l’addio al Quantitative easing rischia di far aumentare la spesa dei cittadini europei per mutui e prestiti. Il meccanismo è molto semplice. Quando una banca commerciale eroga un prestito, calibra gli interessi da far pagare al cliente sui rendimenti dei titoli di Stato. I bond nazionali sono un parametro di riferimento. “Se questi aumentano, necessariamente crescono anche gli interessi dei prestiti a famiglie e imprese in quello stesso Paese”, spiega Milani.
La promessa di Draghi è di mantenere i tassi di interesse prossimi allo zero almeno fino all’estate del 2019. Poi potrebbe esserci “un graduale e peggiorativo cambiamento delle condizioni” per ottenere soldi dalle banche. Chi sottoscriverà nuove linee di credito vedrà i primi segnali della fine del Quantitative easing già nella seconda metà del 2019. Mentre tutti coloro che hanno già ricevuto “un prestito a tasso variabile potrebbe subire l’aumento dei costi solo dal 2020“. È salvo chi in questi anni ha concordato un prestito a tasso fisso.
L’incognita del successore di Mario Draghi
Come evolverà la politica monetaria della Bce dipenderà molto dal nome che sostituirà Mario Draghi alla guida dell’Eurotower. Per l’ex governatore di Bankitalia il mandato scadrà a ottobre 2019. “Se dovesse sostituirlo qualche falco non è da escludere che possa cambiare strategie”, dice Milani.
“Draghi ha garantito che fino a quando ci sarà lui la politica monetaria sarà molto accomodante“. Nulla a che vedere insomma con la Federal Reserve statunitense. Milani osserva che “la Fed ha imposto tassi di interesse al 2% e ha già incominciato a togliere liquidità dal mercato. Qui siamo davvero in un altro mondo”. Ma non è detto che tra un paio d’anni i Paesi più deboli possano contare su una nuova sponda a Francoforte: “Un governo in carica per cinque anni dovrebbe mettere in conto che le cose presto cambieranno”.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
FLASH! – MARIA ROSARIA BOCCIA CONTRO TUTTI: L’EX AMANTE DI GENNY-DELON QUERELA SANGIULIANO (GIÀ…
DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…