
DAGOREPORT - CHE LA CULTURA POLITICA DEI FRATELLINI D’ITALIA SIA RIMASTA AL SALTO NEL “CERCHIO DI…
Sandro Iacometti per "Libero"
Alcuni anni fa, professor Paolo Savona, lei sostenne che l'Italia avrebbe dovuto valutare l'uscita dall'euro. Cosa ne pensa ora?
«Penso che un gruppo dirigente serio debba avere il Piano B, sia per decidere di uscire se necessario, sia per non subire una scelta altrui. Non si è fatto e il rischio si è accresciuto. Oggi è sempre più necessario e sempre più grave non averlo. Non mi sembra un grande attestato di buongoverno».
Quali sarebbero costi e benefici?
«Premesso che abbiamo già pagato un costo elevato per stare nell'euro, se uscissimo oggi dovremmo sopportarne un altro. Esso dipende dalle reazioni del mercato, largamente imprevedibili. Il cambio potrebbe scivolare all'equivalente di 0,80 del rapporto euro/dollaro e l'inflazione tornerebbe ai livelli degli anni '70 e '90, nell'ordine del 18-20%. Il vantaggio sarebbe che riprenderemmo il controllo della quantità di moneta, dei tassi dell'interesse e del rapporto di cambio, ossia di alcune tra le variabili strategiche per governare l'economia e responsabilizzare gli elettori. Sarà un percorso severo, ma se restassimo nell'attuale assetto della politica economica europea lo sarebbe altrettanto e in modo più pericoloso, ossia scendendo gradino dopo gradino. Se invece l'Ue cambiasse politica e fosse più attenta allo sviluppo si potrebbe tentare di rimanere nell'euro».
Non pensa che i costi sociali per restare nell'euro siano diventati troppo elevati?
«Non si doveva iniziare dall'aumento della pressione fiscale, ma dalla cessione del patrimonio pubblico, facendo seguire una proposta di tagli delle spese più equa e meditata».
Quale sarà l'impatto delle manovre correttive di Berlusconi e Monti?
«Quello che abbiamo già osservato più un 2-3% di caduta futura del Pil reale. Purtroppo la pressione fiscale e l'aumento delle tariffe taglieranno ulteriormente il reddito delle famiglie. La situazione può ancora sfuggirci di mano».
Perché la strada dell'abbattimento del debito usando il patrimonio pubblico viene sempre rinviata?
«Io ho avanzato il sospetto che i partiti siano avvinghiati al patrimonio pubblico, che non è sempre un modo corretto di procedere per uno studioso. Ho sempre detto che fosse doveroso da parte dei governi dirci perché non si fa. Se la risposta che viene data in privato fosse quella che il valore è basso e i tempi di realizzazione lunghi, sarebbe impropria la prima e falsa la seconda. La verità è che si pensa a una patrimoniale, quella che nel mio libro Eresie, esorcismi e scelte giuste... definisco l'ultima eresia prima del completo suicidio della politica e dei tecnici».
Pensa che l'azione della Bce sia stata efficace o sia servita solo a sgonfiare lo spread spingendo le banche ad acquistare Btp?
«La decisione della Bce è stata corretta. L'uso dei fondi da parte delle banche libero. Ma continuando nella politica europea il sollievo dato è un'illusione».
Qual è la strada da seguire per cambiare passo?
«Non c'è alternativa alle riforme istituzionali in Europa. La Bce deve avere più poteri e doveri con un mandato simile a quello della Fed. La politica europea deve essere tale da correggere gli effetti della nonottimalità dell'area, liberalizzando i movimenti di lavoro e capitali e praticando politiche compensative degli shock asimmetrici più efficaci. E' ormai giunto il momento di riformare i Trattati alla luce dei nuovi equilibri geopolitici e geoeconomici. La stagione delle riforme riguarda tutti ed è già in ritardo. Il solo parlarne porterebbe un sollievo. Attendiamo leader capaci di farlo».
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