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Adriana Castagnoli per “Il Sole 24 Ore”
L'economia Usa cresce ma l'americano medio non si sente più ottimista e ne ha motivo. I dati del Bureau of Economic Analysis evidenziano aspetti contradditori. Per quanto il Pil sia aumentato oltre le aspettative nel III trimestre (+3,5%), il rallentamento rispetto al periodo precedente (+4,6%) rivela un sottofondo meno brillante. Spesa pubblica federale e quella della difesa, con la riduzione dell'import, compensano la debolezza degli altri indicatori. Restano da sciogliere i nodi del deficit federale. Tuttavia le spese militari, balzate del 16%, sono ritenute volatili.
La criticità della situazione dipende dalle profonde trasformazioni strutturali nella difesa, con la cessione ai privati di importanti attività che rischiano di indebolire la tradizionale supremazia tecnologica militare. Oggi il «complesso militare industriale», evocato negli anni 50 dal presidente Dwight Eisenhower, è ridotto a poche imprese. Nel 2012, più di 1/3 di ciò che il Pentagono spendeva in approvvigionamenti e servizi è andato a società non tradizionali dell'industria della difesa come Apple e Dell. Con la proprietà si sposta nelle mani dei giganti della tecnologia anche una quota di potere: Google, nel 2013, ha acquistato Boston Dynamics che sino ad allora aveva assicurato al Pentagono la frontiera tecnologica nella produzione di robot. Se Google non intende più procedere con la ricerca militare, la Difesa americana potrebbe perdere il primato nella robotica.
La riduzione dell'import è un segnale incoraggiante per la produzione interna. La creazione di posti di lavoro nel privato è stata straordinaria. Il punto è che la produttività media per lavoratore si è ridotta dal 2007 e in un anno è cresciuta appena dello 0,9%. E ciò malgrado le ore lavorate siano aumentate in modo impressionante sia per l'espansione dell'occupazione (oltre 1,4 milioni di posti di lavoro negli ultimi sei mesi) sia per l'allungamento della settimana lavorativa (ai livelli di 60 anni fa).
Così, con la disoccupazione al 5,8%, un traguardo invidiabile per gli europei, i salari ristagnano e la partecipazione alla forza lavoro si è ridotta al livello del 1978. Questa fiacchezza può dipendere dal tipo di occupazione in crescita: con contratti a termine, nei settori dei servizi alla salute e della ristorazione. Manifattura e costruzioni sono cresciute poco, anche se lo shale gas sembra aver invertito il processo di declino industriale. È pur vero che gli importanti progressi nell'innovazione richiedono tempo per sviluppare benefici.
Ma vi sono imprese che sono scoraggiate dall'investire in Information Technology. Perché anche negli Usa la polarizzazione politica su questioni cruciali per il lavoro, come la legge sull'immigrazione, nonché le elevate tasse sui redditi d'impresa (39,1%, almeno sulla carta) hanno finito per rallentare l'industria. Come ha sottolineato Janet Yellen, preoccupa la contrazione nel numero di nuove imprese, tradizionale segno di vitalità. Né si vede un significativo slancio nella ripresa dei consumi. Pertanto, alle elezioni del 4 novembre, gli americani hanno bocciato innanzitutto la politica economica del presidente Obama. E per questo i repubblicani hanno promesso di assicurare il loro appoggio a una rapida conclusione della Trans-Pacific Partnership.
Si prevede che la Federal Reserve aumenterà i tassi di interesse nella prima metà del 2015. Ciò stimolerà la domanda per azioni, bond e nel settore immobiliare ma non si tradurrà in migliori condizioni di vita per molti americani. Anzi, tenderà ad acuire i già alti livelli di ineguaglianza perché la proprietà degli asset è concentrata nelle mani dei più ricchi, e premierà lo strapotere della finanza. Ma lo scenario globale è molto più complesso, e gli Usa rischiano di soffrire anche la recessione dei partner commerciali come l'Europa che resta tuttora senza leadership né visione.
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