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Paolo Gentiloni, prima del ricovero all’ospedale Gemelli, aveva messo a punto uno schema per farsi trovare pronto in vista delle scadenze delle società partecipate: anche per allentare il pressing che i vari presidenti ed amministratori delegati stavano facendo su Palazzo Chigi.
Lo schema era sufficientemente democristiano. Vale a dire, se si vota a giugno l’orientamento del premier è quello di prorogare gli attuali vertici; così da lasciare al governo che uscirà dalle urne la scelta su Enel, Eni, Finmeccanica, Poste. Unico caveat per Moretti in Finmeccanica e per Descalzi in Eni. Sul primo pende una condanna in primo grado per la strage di Viareggio. Sul secondo, un possibile rinvio a giudizio. Ed in entrambe le società è in vigore un codice etico che vieta di ricoprire cariche operative a chi ha condanne o rinvii a giudizio.
Qualora, invece, si dovesse votare nel 2018, Gentiloni potrebbe decidere lui direttamente le nomine. Ed in tal caso, già si sente odore di bruciato. In primo luogo, perché nelle scelte verrebbero coinvolti anche gli emissari di Berlusconi, in virtù del Nazareno sommerso. Ed a quel punto, non tutti potrebbero essere certi della conferma. L’orientamento del premier, infatti, sarebbe di fare nomine non strettamente renziane.
fabio gallia claudio costamagna
Un altro che non se la passa benissimo è Claudio Costamagna. Il presidente della Cassa depositi e prestiti, culo e camicia con Renzi (portò lui Jamie Dimon da Matteo a Palazzo Chigi), sta vedendo offuscato il suo potere. In primo luogo per i pessimi rapporti con Fabio Gallia. Poi, perché è entrato in rotta di collisione con Fabrizio Pagani, potente capo della segreteria tecnica di Padoan.
Il combinato disposto starebbe convincendo Costamagna a cambiare aria. Dalle parti di Cassa depositi e prestiti si scommette che potrebbe mollare in aprile.
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