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IL KORS OLTRE L’OSTACOLO – IL CASO VERSACE NON È ISOLATO, MA FA PARTE DI UNA STRATEGIA PRECISA DEI MARCHI AMERICANI CHE VOGLIONO SFIDARE IL PREDOMINIO FRANCESE DI LVMH E KERING – IL RISULTATO È CHE FANNO SHOPPING IN ITALIA, UN PAESE CAPACE DI SFORNARE I PIÙ IMPORTANTI MARCHI E MANAGER DEL MONDO MA INCAPACE DI COMPETERE CON GLI STESSI NUMERI

Maria Silvia Sacchi per “L’Economia – Corriere della Sera”

 

michael kors john idol

Al Grand Hotel Villa d' Este di Cernobbio sabato scorso si è celebrato un matrimonio che si potrebbe definire simbolico di uno dei fatti più discussi dell' ultima settimana. Ad andare all' altare è stata, infatti, la figlia di John Idol, amministratore delegato dell' attuale Michael Kors Holding.

 

Ovvero, della società quotata a Wall Street che martedì 25 settembre ha annunciato di aver rilevato il 100% di Versace e, nello stesso tempo, la decisione di cambiare nome da Michael Kors Holding a Capri Holdings. Non indossava un abito della maison della Medusa, la figlia di Idol, ma l' hotel - e il Lago di Como sul quale l' albergo si trova - è un luogo che è stato centrale nella vita di Gianni Versace e dell' intera famiglia Versace. Tutto si tiene.

 

johnathan akeroyd, donatella versace john idol

C' è molta Italia, insomma, in questa operazione Kors-Versace di cui tanto si è parlato. Idol conosce bene il nostro Paese non fosse altro perché ha una moglie italiana. La nuova capogruppo avrà sotto di sé avrà i tre marchi Michael Kors, Jimmy Choo e Versace. Kors, Idol e i Versace gli azionisti di peso in un gruppo dove la quota più alta è il 3%. «Siamo i singoli azionisti con il maggior numero di quote, siamo come una famiglia», dice l' amministratore delegato.

 

Come socio e capoazienda del gruppo Capri Holdings il manager ha piani di acquistare fabbriche e assumere dipendenti in Italia per far crescere i marchi controllati. Esattamente come hanno fatto i francesi di Gucci (Kering) o di Fendi (Lvmh) per fare due esempi dei tanti brand rilevati nel nostro Paese.

 

john idol

«Investiremo moltissimo nella vostra manifattura, non solo per Versace, la cui tradizione di made in Italy va assolutamente mantenuta essendo uno dei suoi punti di forza insieme a Donatella Versace; ma anche per Jimmy Choo e Michael Kors che già produciamo in Italia - dice Idol -. Abbiamo grandi progetti: più cresceranno i marchi, più rileveremo fabbriche e creeremo occupazione».

 

È la preoccupazione prevalente quando un' azienda finisce in mani straniere: che le produzioni, i posti di lavoro, vengano cancellati. E, in effetti, casi problematici ce ne sono stati, Non solo nella moda.

 

Come non ricordare Ferré, passato dall' amministrazione controllata della capogruppo It holding in mani arabe che lo hanno portato al declino? Se si guarda il quadro complessivo, però, nel segmento lusso il saldo è positivo.

micheal kors da giovane

 

I colossi francesi Lvmh e Kering hanno mantenuto, e anzi rafforzato,le produzioni italiane, e finora non si sono visti effetti negativi dalla politica inaugurata dal presidente francese Emmanuel Macron per far confluire gli investimenti in Francia (il lusso è da tempo oggetto di competizione tra Paesi per la sua capacità attrattiva anche sotto il profilo dell' immagine, oltre che della creazione di occupazione).

 

Anche il gruppo inglese Burberry - che ha al suo vertice due italiani, il ceo Marco Gobetti e il designer Riccardo Tisci - per la prima volta sta investendo direttamente in Italia.

Quello che invece va sottolineato sono le parole di Donatella Versace all' indomani dell' annuncio della cessione: «Ci hanno cercati in tanti, ma nessun italiano». Parole simili a quelle dette da Francesco Trapani dopo la vendita, da parte sua e degli zii Nicola e Paolo Bulgari, dell' azienda di gioielli Bulgari a Lvmh.

la trasformazione di donatella versace

 

Trapani disse di aver cercato di creare alleanze con società tricolori, ma senza esito. E lo stesso dichiarò la proprietà di Pomellato, altro nome della gioielleria, che passò ai francesi di Kering. Diverso fu il caso di Valentino, rilevato dal Qatar (e diventato un caso di successo), ma per il quale si erano fatti avanti Zegna e Renzo Rosso, due gruppi che sembrano voler andare in controtendenza. Zegna ha appena acquistato il marchio Usa Thom Browne (articolo pagina accanto), mentre Renzo Rosso ha messo insieme un portafoglio di marchi che spazia da Margiela a Marni.

 

renzo rosso

L' Italia si conferma, insomma, soprattutto un Paese capace di sfornare marchi e manager (i più importanti brand del mondo sono a guida italiana), oltre a vantare una leadership indiscussa nella manifattura ed essere luogo di eccellenza, insieme a Parigi, sul fronte di sfilate e presentazioni. Ma incapace di mettere insieme attori diversi per creare un protagonista in grado di competere con gli stessi numeri.

 

lvmh

A dati 2017, Lvmh (con tutte le sue divisioni comprese cosmetica e vini) arriva a 43 miliardi di euro, Kering (concentrato solo sul lusso) a 16 miliardi, Richemont (senza l' intera Ynap nel frattempo acquisita) a 12 miliardi, il nuovo gruppo Capri ne avrà 6 e punta a salire presto a 8. Le società «singole» sono grandi, come Hermès che ha 5,5 miliardi di euro di ricavi, Tiffany 4,2 miliardi di dollari, Burberry 2,8 miliardi di sterline, Prada sfiora i 3,6 miliardi di euro, Armani 2,3 miliardi, Zegna 1,2 (senza Browne) e così via, ma si trovano a competere da una parte con i poli multimarchio e dall' altro con i grandi gruppi del fast fashion come Inditex (oltre 25 miliardi di euro) o H&M (23,7 miliardi).

 

arnault lvmh

Idol dice che «è molto importante essere parte di un gruppo perché il mercato è cambiato». Significa sinergie, diversificazione del rischio, rapporto di forza maggiore, e così via. In Europa solo i francesi e il magnate sudafricano Johann Rupert sono riusciti a creare queste conglomerate.

 

Quello che si osserva adesso è che la sfida ai francesi arriva dagli Stati Uniti. Non solo il gruppo di Michael Kors, ma anche il concorrente Coach ha iniziato a fare acquisizioni come il marchio di scarpe Stuart Weitzman. Anche se Idol definisce l' azienda che guida come inglese e non americana.

 

modelle per stuart weitzman

«La nostra sede è a Londra - spiega -. Abbiamo sempre avuto il sogno di avere brand di lusso partendo da Michael Kors, poi Jimmy Choo e ora Versace, quindi abbiamo una compagnia americana, una inglese e adesso una italiana». A quando una acquisizione asiatica, visto che è questa l' area che sta trainando il lusso? «Non avremo una compagnia asiatica», risponde.

 

michael kors 6

Di certo c' è che il mercato è davvero cambiato. Lo aveva raccontato molto bene un anno fa all' Economia François-Henri Pinault. «Mentre prima i concetti chiave erano l' heritage e l' artigianalità - aveva detto -, oggi heritage e artigianalità sono due presupposti della moda: attesi, ma assolutamente non sufficienti a far sognare e sentir bene le persone.

CARTA IGIENICA DI GUCCI

 

Allo stesso tempo, ci rivolgiamo sempre di più a clienti giovani, e anche questa è una grande trasformazione. Se guardo ad alcuni dei miei marchi maggiori, vedo che le vendite nel mondo a persone sotto i 35 anni rappresentano, quest' anno, il 56% dei ricavi di Gucci e il 65% di Saint Laurent e Balenciaga.

 

Una classe di età che arriva al lusso prima della generazione che l' ha preceduta. Sono clienti che vogliono emozione e non c' è abbastanza emozione solo con heritage e artigianalità. L' emozione viene dalla creatività».

 

E adesso, naturalmente, il mercato si interroga su chi saranno i prossimi, Prada, Ferragamo, Cavalli tra quelli più chiacchierati. Nella pagina accanto alcuni casi emblematici di situazioni diverse, chi viene dato per in vendita, chi ha avuto successo dopo essere stato acquisito e chi prova a tentare una via diversa.

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