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IL VICOLO STRETTO DEGLI AYATOLLAH: CHIUDERE O NON CHIUDERE HORMUZ? – LA CINA È IL CLIENTE QUASI UNICO DEL PETROLIO DI TEHERAN, CHE ARRIVA TUTTO DALLO STRETTO DI HORMUZ: PECHINO NON VUOLE UN’ESCALATION E LA TEOCRAZIA NON PUÒ SCONTENTARE XI JINPING – IL SEGRETARIO DI STATO USA, RUBIO: “LA CINA PREMA SULL’IRAN CONTRO LA CHIUSURA” – CHE SUCCEDERÀ? KHAMENEI POTREBBE ORDINARE AZIONI MENO PLATEALI, COME IL SEQUESTRO DI PETROLIERE O MERCANTILI, E MANOVRE DI SABOTAGGIO O INTERFERENZA, SENZA UN BLOCCO TOTALE
RUBIO, 'CINA PREMA SU IRAN CONTRO CHIUSURA STRETTO HORMUZ'
(ANSA) - Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha invitato la Cina a sollecitare l'Iran a non chiudere lo Stretto di Hormuz in risposta agli attacchi di Washington contro i siti nucleari di Teheran.
"Incoraggio il governo cinese a contattarli in merito, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio", ha detto Rubio, che è anche consigliere per la Sicurezza nazionale, parlando a Fox News dopo che il Parlamento iraniano ha approvato il blocco strategico dello Stretto attraverso cui transita oltre il 20% di petrolio e gas mondiale demandando la decisione finale al Consiglio supremo di sicurezza nazionale.
HORMUZ GLI EFFETTI SUI PREZZI
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
raffineria di petrolio colpita da israele in iran
Già ieri mattina il Parlamento di Teheran ha «approvato» la chiusura dello Stretto di Hormuz, eppure i mercati mediorientali hanno reagito come se non ci credessero. Naturalmente la prova del nove arriverà solo oggi alla riapertura delle piazze finanziarie in Asia, in Europa e infine negli Stati Uniti, ma soprattutto con la ripresa del passaggio di una cinquantina di navi petroliere e gasiere che escono ed entrano ogni giorno nel Golfo.
Perché adesso l’Iran non può scegliere solo fra l’opzione di sbarrare Hormuz o lasciarlo aperto; ha un ventaglio di carte da giocare, ciascuna con un impatto potenziale diverso sui prezzi del petrolio (e perciò del costo della benzina) e del gas, dunque sull’inflazione e la crescita in Europa e in Italia.
Dipenderà da quanto gli ayatollah hanno intenzione di avvitare se stessi in questa crisi.
Ieri erano passate poche ore dai bombardamenti americani sui siti nucleari, quando il Parlamento iraniano ha votato per la ritorsione economica più severa: chiusura di Hormuz, il tratto di mare lungo 161 chilometri e stretto trentatré nel punto più angusto fra l’Iran stesso e la penisola araba. Da lì passa circa il 20% delle forniture mondiali di greggio — fra gli altri, quelle di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iraq e dell’Iran — più oltre il 10% del gas naturale, incluso quello del Qatar diretto in Italia.
Bloccare anche solo parte di quel flusso spingerebbe il prezzo del barile dai 60 dollari di fine maggio a cento e forse molto oltre; farebbe crollare le borse per i timori sull’inflazione e la crescita.
[…] Invece, almeno ieri, non è andata così. Poco importa che Hossein Shariatmadari, un propagandista vicino all’ayatollah Ali Khamenei, abbia proposto di sbarrare il passaggio alle navi «americane, britanniche, tedesche e francesi».
[…] Costruttive anche le reazioni delle piazze arabe: Riad ieri è scesa di appena lo 0,3%, come se gli investitori non credessero a una strozzatura di Hormuz; il Cairo è salita del 2,7% e persino piazze molto esposte alla guerra come quelle di Kuwait, Oman e Qatar sono rimaste sopra la parità.
I NUMERI DELLO STRETTO DI HORMUZ
L’irruzione dell’America nella guerra e la minaccia di uno choc sulla maggiore risorsa energetica non sembrano generare il panico.
In parte è l’idea che ora la fine del conflitto, per quanto provvisoria, sia in vista. In parte è anche un calcolo razionale quanto alle mosse di Teheran.
Perché naturalmente nella teocrazia non saranno il Parlamento o i propagandisti a decidere su Hormuz.
La Cina, cliente quasi unico del petrolio di Teheran e dunque suo finanziatore, non vuole un’escalation. Per questo Signum Global Advisors, un analista geopolitico, ieri ha riassunto il dilemma degli ayatollah: la teocrazia, scrive Signum, «non vuole imboccare la via d’uscita diplomatica» eppure «non è desiderosa di espandere la guerra»; dunque cercherà una ritorsione che prevenga un’ulteriore discesa nella spirale di guerra.
lo stretto di hormuz snodo chiave del petrolio mondiale
[…] Secondo Signum ciò taglia fuori l’opzione di bloccare o minare Hormuz, approfittando dei fondali bassi. Azioni meno plateali invece non sono escluse, né sarebbero nuove.
Dal 2022 la Guardia rivoluzionaria ha sequestrato quattro fra petroliere e mercantili. Anche più frequenti sono poi le manovre di piccoli battelli iraniani per disturbare il transito di grandi navi considerate ostili; soprattutto da dieci giorni il gruppo navale francese Mica denuncia interferenze nello Stretto sui segnali satellitari di un migliaio di vascelli al giorno; dev’essere per questo che giorni fa due petroliere sono entrate in collisione.
A PECHINO L’ACCORDO TRA ARABIA SAUDITA E IRAN
Tutte queste mosse, ben sotto la soglia del blocco totale, inoculano stress sui mercati. Da stamani probabilmente il rischio attorno a Hormuz farà salire di qualche dollaro — non molti — il prezzo del petrolio. E di riflesso è esposta anche la benzina. I prezzi potrebbero prendere a salire, tanto più per i comportamenti speculativi della distribuzione in Italia. Anche più fragile la situazione del gas, proprio ora che tutta l’Europa deve riempire le scorte.
Di certo il governo greco e la Marina britannica ieri hanno avvertito le loro navi: Atene, sede di alcuni dei maggiori armatori al mondo, invita le compagnie a «riconsiderare» i passaggi da Hormuz e Londra avverte che c’è una «minaccia elevata» per la marina mercantile non solo all’ingresso nel Golfo, ma anche nel Golfo di Aden e nell’accesso al Mar Rosso.
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