DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
I dati Eurostat sull' ecommerce mostrano il solito bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: negli ultimi anni è raddoppiata, dal 4 al 9%, la quota di fatturato delle imprese italiane che viene dal web. Ma siamo a metà della media europea (17%) e abissalmente lontani dall' Irlanda (37%). Fanno peggio soltanto Cipro, Grecia, Bulgaria e Romania: eppure restiamo il secondo Paese manifatturiero europeo.
Evviva! La quota di fatturato delle imprese italiane che viene dal web, negli ultimi anni, è raddoppiata: dal 4 al 9%. Aiuto! Siamo a metà della media europea (17%) e abissalmente lontani dall' Irlanda, che svetta al 37%. I dati Eurostat sull' ecommerce mostrano il solito bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Chi vuole può consolarsi. Ma se non acceleriamo…
Il confronto tra l' ultimo report dell' Osservatorio del Politecnico di Milano e l' ultima analisi di Frost & Sullivan, un' azienda Usa di consulenze e ricerche di mercato, dice tutto. Di qua la soddisfazione: «Ormai è innegabile: l' ecommerce piace agli italiani» tanto da aver segnato nel 2015 «una crescita del fenomeno pari al 16%» con un giro d' affari «passato dai 14,4 miliardi di euro ai 16,6 miliardi».
Di là il contesto: «La vendita al dettaglio online business-to-business (B2B)» vive un boom mai visto, al punto che si prevede che questo mercato «raggiungerà il doppio delle dimensioni delle vendite online B2C ( business-to-consumer ), producendo entrate per 6.700 miliardi di dollari entro il 2020». Cioè entro quattro anni. Siamo piccoli. Troppo piccoli. Tanto più per chi si vanta di essere, come siamo, il secondo Paese manifatturiero europeo.
Le tabelle del centro studi di «Mm-One Group» su dati Eurostat non fanno sconti: l' Italia è «fanalino di coda. Fanno peggio soltanto Cipro, Grecia, Bulgaria e Romania».
Che hanno sicuramente molti meno prodotti da vendere e molti meno soldi per comprare online.
Un esempio? Spiega l' agenzia di servizi ebusiness per le aziende autrice del rapporto che «attribuendo un punteggio convenzionale pari a 100 alla Danimarca, il Paese che sfrutta al meglio le potenzialità della rete, l' Italia totalizza 18 punti, a fronte dei 37 della Spagna, dei 64 della Francia e dei 74 della Germania». I nostri concorrenti.
«Una performance insufficiente per un Paese che vuole competere sul mercato internazionale per superare la difficoltà economica in atto». Certo, dal precipitare della crisi economica nel 2009 a oggi, come dicevamo, abbiamo fatto passi avanti. E il fatturato derivato dall' ecommerce è salito dal 4 al 9% con una impennata del 125%.
Sarà pure inferiore alla accelerazione della Romania o di Cipro (rispettivamente +300% e +500%!) ma una svolta c' è. Detto questo, gli altri che già erano avanti hanno continuato a crescere e oggi siamo staccati di 8 punti dalla Germania e dalla Francia, 12 dalla Gran Bretagna, 22 dalla Repubblica Ceca, 26 dall' Irlanda.
E se la quota di cittadini italiani che nell' ultimo anno ha fatto almeno un acquisto on-line è salita al 26% (dall' umiliante 11% del 2008) gli altri hanno data una tale sgommata (la stessa Grecia: +256%) che in questo ranking caliamo dal 21° al 26° posto. Cioè 27 punti sotto la media europea, 39 sotto la Francia, 45 sotto la Svezia o l' Olanda, 47 sotto la Germania, 55 sotto la Gran Bretagna.
Quanto alle aziende che «ricevono ordini tramite reti informatiche» siamo passati negli ultimi cinque anni (2010-2015) dal 5 al 10%. Alleluia. Ma la rimonta deve assolutamente accelerare: restiamo 9 punti sotto la media Ue, 11 sotto la Francia, 13 sotto il Regno Unito, 17 sotto la Germania, i nostri avversari diretti, ben 22 sotto l' Irlanda che più di tutti punta sul web.
Va meglio nel turismo. La quota di «aziende che prevedono la possibilità di prenotare direttamente dal proprio sito» è salita al 79%: finalmente 5 punti sopra la media europea. Rimaniamo comunque al 10° posto. E gli hotel che si affidano a siti internazionali sono talmente tanti che una buona fetta dei ricavi se ne va oltre frontiera. Sprecando un pezzetto non trascurabile delle nostre potenzialità.
La percentuale di fatturato online nel settore turistico è salita tra il 2009 e il 2015 dall' 8% al 21%: più 163%. Bene. Ma se guardiamo ai nostri concorrenti, ahi ahi… Restiamo sotto la Germania (22%), la Francia (30%), la Spagna (34%) e la Gran Bretagna, che domina a 35, seconda solo alla Lituania che però sui grandi numeri è staccatissima.
Non bastasse, spiega il dossier MM-One, l' Italia, «si distanzia molto rispetto alla media europea circa la propensione degli individui ad acquistare online viaggi e a prenotare le proprie vacanze online. In particolare la percentuale di persone che acquistano tali servizi su Internet è dell' 11%, contro una media europea del 27%». Ancora più marcato il distacco dai Paesi più attivi: Finlandia e Svezia sono al 49%, la Gran Bretagna al 51%, la Danimarca al 57%.
La conclusione del dossier è un atto di accusa: «L' arretratezza dell' Italia si può ascrivere a un ritardo culturale, oltre che imprenditoriale e istituzionale. In questo senso sono ancora insufficienti le strategie nazionali messe in atto per potenziare e valorizzare il commercio elettronico, fra tutte la riduzione del digital divide - ancora presente in molte aree del Paese - e la diffusione della banda ultra larga. Ecommerce vuol dire risparmio di tempo, di costi e di energia. Non cogliere questa opportunità potrebbe penalizzare l' intera crescita e sviluppo». Parole d' oro.
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