FLASH! - SIAMO UOMINI O GENERALI? PER L'OTTUAGENARIO CALTAGIRONE LA CATTURA DEL LEONE DI TRIESTE E'…
Federico Rampini per “la Repubblica”
Alle ore 14 di Washington, le 20 italiane, gli schermi di tutto il mondo hanno lampeggiato l’attesa notizia. “Breaking News”: +0,25% nei tassi della Federal Reserve. Una mossa modesta ma gravida di conseguenze, lo spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. L’ultima volta accadde 9 anni e mezzo fa. Giugno 2006, l’allora presidente della Fed Ben Bernanke alzò i tassi: a quota 5,25%. Un’altra era, un altro mondo.
Oggi i rendimenti si sono appena sollevati al di sopra dello zero. In mezzo c’è stata la crisi più grave dalla Depressione degli anni Trenta, poi l’invenzione di una cura audace: una politica monetaria iperattiva schiacciò i tassi a zero esattamente sei anni fa, quindi iniziò a inondare l’America e il mondo con 4.000 miliardi di liquidità. Un esperimento senza precedenti, terapia di shock inaudita.
Ieri la donna più potente dell’economia mondiale ha potuto dire: missione compiuta. Janet Yellen nella sua conferenza stampa ha spiegato perché è fiduciosa di poter chiudere a poco a poco l’epoca delle misure eccezionali. La ripresa americana compie 6 anni e 6 mesi «e mostra una forza soddisfacente». Ha sottolineato il 5% di disoccupazione, vicino al pieno impiego.
«I consumi e gli investimenti tengono, nonostante gli sviluppi internazionali negativi». Il rallentamento cinese e la rivalutazione del dollaro sono in cima alle preoccupazioni, ma «rispetto a quest’estate i rischi si sono ridotti ». Altro segno di ritorno alla normalità, l’inflazione rialza la testa. Molto moderata, anche perché il petrolio che crolla riduce i costi energetici.
La Yellen spiega che è un rincaro del costo del denaro di tipo omeopatico, somministrato con moderazione. Salvo shock negativi l’anno prossimo ci saranno altri tre di questi minuscoli rialzi. I tassi Fed arriveranno a 1,5% a fine 2016, a 2,5% a fine 2017, e a 3,25% a fine 2018. Un “dovish hike”, un rialzo da “colombe”, deciso non per spegnere la ripresa ma anzi per sostenerla.
«Voglio vedere una crescita prolungata », spiega la Yellen, aggiungendo che la guarigione del mercato del lavoro non è conclusa: ci sono ancora troppi lavoratori a part-time; i salari non aumentano in modo soddisfacente. Iniziando ad alzare i tassi oggi la Fed vuol evitare di trovarsi in una situazione pericolosa: se aspettasse troppo a lungo, potrebbe trovarsi costretta a spegnere l’inflazione con rialzi del costo del denaro più brutali e rapidi, innescando una recessione. «La prima cosa che gli americani devono capire dalla nostra decisione di oggi, è quanto siamo fiduciosi sulla salute della nostra economia», conclude. E Wall Street reagisce con un netto rialzo.
Il tasso che la Fed ha aumentato è quello sui Federal Funds, da cui ne dipendono altri, che subito si muovono al rialzo: gli interessi percepiti sulle carte di credito dei consumatori, i ratei dei mutui-casa a tasso variabile. «Ma partiamo da un costo del denaro eccezionalmente basso», ha ricordato la Yellen, convinta che l’economia americana ha spalle robuste per sostenere questo piccolo rincaro del credito.
Può avere un effetto psicologico positivo: se tutti si convincono che è finita l’emergenza, possono avere più fiducia e comportarsi di conseguenza, dai consumi agli investimenti. I precedenti storici però associano i rialzi dei tassi con le recessioni: e questa ripresa Usa è durata già molto rispetto alla media.
Quali le conseguenze internazionali? L’attenzione ossessiva dal resto del mondo si giustifica: l’economia Usa influenza le altre, l’economia mondiale è un sistema di vasi comunicanti. Se i rendimenti americani continuano la marcia all’insù, gli investitori si sentono attratti verso titoli Usa che renderanno di più. Dunque i capitali tenderanno ad affluire verso gli Usa. Effetto positivo: è possibile un’ulteriore svalutazione dell’euro, fa bene agli esportatori e alla ripresa italiana.
Ma quando i capitali si spostano verso l’America, per trattenerli in Europa può diventare necessario offrire un po’ di più. Tocca dunque alla Bce contrastare la spontanea tendenza dei mercati a seguire il rialzo americano con un rincaro del costo del denaro alla periferia dell’impero. Chi si trova in una tenaglia sono le economie emergenti già in recessione: per loro i capitali in fuga sono una maledizione, tante imprese devono restituire debiti in dollari, le monete emergenti valgono sempre meno e i debiti sempre di più.
Piccoli risparmiatori, pensionati, possono salutare il ritorno alla normale? Chi deve accantonare risparmi per il futuro, o vivere su quello che ha da parte, con il tasso zero si sentiva più povero e magari cascava nella trappola della finanza speculativa. Un ritorno a rendimenti positivi è una buona notizia, nel medio termine. A breve però una ripercussione dei tassi che salgono, è la perdita di valore dell’ampio stock di bond esistenti: il loro prezzo si muove nella direzione opposta ai tassi. Si è già visto tremare il mercato dei junk-bond, in pesante perdita da settimane.
JANET YELLEN TESTIMONIA AL CONGRESSO
Quale “ritorno alla normale” ci aspetta? La crescita mondiale continua ad essere lentissima, rispetto al periodo dagli anni 50 agli anni 90. La stagnazione secolare ha cause strutturali come denatalità, invecchiamento, calo della forza lavoro attiva, diseguaglianze, scarsi progressi nella produttività. Tutte cose che la politica monetaria non cura. I grandi assenti, la Yellen lo ha ricordato, restano i governi: da anni le politiche di bilancio frenano la crescita. Ora che la banca centrale più potente inizia a ritirarsi dal suo ruolo di supplenza, la latitanza degli altri attori diventa ancora più problematica.
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