DAGOREPORT
Marcello Sorgi per "la Stampa"
conte di maio
Nella gran confusione pentastellata, la fine della coalizione Pd-5 stelle per il comune
di Roma - un’alleanza, va detto, mai costruita neppure nell’anno e mezzo di collaborazione al governo - rappresenta in qualche modo la vittoria di Di Maio, l’affermarsi del suo ruolo di “leader ombra” e della sua linea di sempre come l’unica in grado di tenere unito il Movimento.
LUIGI DI MAIO E VIRGINIA RAGGI
Adesso non è neppure importante scoprire se il ministro degli Esteri si sia adoperato per arrivare a questa conclusione del lungo negoziato incautamente concluso giovedì con un’intesa tra Conte e Letta, poi smentita domenica. Sta di fatto che tra “governisti” che premevano e Raggi che resisteva, l’atteggiamento del ministro, fin dall’inizio convinto che fosse impossibile convincere la “sindaca” a ritirarsi e altrettanto aggirarla, s’è rivelato il più realistico.
Ed anche nel caso in cui alla fine tra Raggi e Gualtieri al primo turno dovesse prevalere il secondo, nel ballottaggio la posizione di partenza di oggi dei 5 stelle giustificherebbe un appoggio tiepido al candidato del Pd, tale insomma da non favorire la vittoria dell’ex-ministro dell’Economia.
GOFFREDO BETTINI GIUSEPPE CONTE
Inoltre il fallimento dell’accordo a Roma rischia di influire su tutte le altre città in cui la trattativa era aperta: Torino, dove non ne sono convinti fino in fondo Fassino e Chiamparino; Milano, dove Sala è già partito da solo; Napoli, dove la candidatura di Fico era stata pensata come contrappeso a quella di Zingaretti nella Capitale, ed ora è appesa ai timori che, scoperta la presidenza della Camera, il rinnovo finisca in un Vietnam parlamentare. Resta Bologna, la capitale storica del Pci e insieme la città dove si tenne il primo grande meet-up del “vaffa” nazionale: funzionerebbe?
giuseppe conte e luigi di maio
Quella di Di Maio infatti non è solo intima convinzione dell’impossibilità di costruire un patto organico con il Pd. Piuttosto è profonda conoscenza del Movimento e consapevolezza che la parte ancora più motivata dei grillini, pronta a recarsi alle urne, è quella né di sinistra né di destra ed anzi spesso dichiaratamente contraria a tutte e due. Il fatto che Di Maio abbia voluto e portato alla vittoria l’alleanza giallorossa nella “sua” Pomigliano non fa testo: è una sorta di eccezione che conferma la regola, oltre al consenso personale di cui il ministro continua a godere al Sud.
letta conte
Inoltre, per dirla tutta, quest’amicizia propugnata in tutti i modi da Bettini, il filosofo piddino del “nuovo centrosinistra”, agli occhi e alle orecchie dei 5 stelle è sempre suonata sospetta: non sarà - si chiedono quelli della prima generazione grillina - che il Pd vuol fare l’amico per poi portarci via gli elettori con la scusa che noi e loro siamo diventati la stessa cosa? Per i pentastellati le alleanze, quando sono possibili, devono partire dal basso.
enrico letta giuseppe conte
E mai e poi mai potevano nascere nel Campidoglio conquistato all’indomani del maxi-processo di “Mafia Capitale”, con i suoi due imputati-simbolo Buzzi, comunista, e Carminati, fascista, sulla parola d’ordine della sconfitta di “quelli di prima”: ciò che non a caso resterà la bandiera della Raggi. Al di là di Roma, questa rottura è destinata a pesare sulle nuove leadership di Letta e Conte. Per il Pd è diventata quanto meno un’illusione poter contare sull’appoggio 5 stelle anche nella vicina “partitissima” del Quirinale. —