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    LA ROMA DEI GIUSTI - TEMPO DI WESTERN 2. DOPO LE DUE PUNTATE DELLA SERIE DI “DJANGO” MI SONO VISTO ANCHE “BUTCHER’S CROSSING”, PICCOLO FILM AMERICANO PIÙ CHE RISPETTABILE TRATTO DA UN CAPOLAVORO DELLA LETTERATURA AMERICANA. NEL COMPLESSO RUOLO DEL CACCIATORE DI BISONTI MILLER C’È UN NICHOLAS CAGE IN VERSIONE BARBUTA MA CALVA CHE FUNZIONA BENE…


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    nicolas cage butcher's crossing nicolas cage butcher's crossing

    Festa del Cinema di Roma. Tempo di western 2. Subito dopo la sveglia mattutina con le due puntate della serie di “Django” dirette da Francesca Comencini, mi sono visto anche “Butcher’s Crossing”, piccolo film americano più che rispettabile tratto da un capolavoro della letteratura americana come “Butcher’s Crossing”, romanzo scritto nel 1960 da John Williams, celebrato autore di “Stoner”e vero e proprio caso letterario di qualche anno fa.

     

    Lo produce, lo scrive e lo dirige alla sua quasi opera prima di fiction Gabe Polski offrendo il complesso ruolo del cacciatore di bisonti Miller a un Nicholas Cage in versione barbuta ma calva, attore che Polsky conosce bene dai tempi de “Il cattivo tenente” di Werner Herzog e di “Joe”, film che Polsky ha prodotto qualche anno fa. Confesso che “Butcher’s Crossing" non è un libro facile da portare sullo schermo, perché ha una seconda parte dove non accade molto e è tutto molto sottile e filosofico.

     

    butcher's crossing butcher's crossing

    Come riempi quel nulla che funziona solo quando lo leggi? Il gruppetto dei quattro cacciatori che partono dal villaggetto nel Kansas di Butcher's Crossing, sei catapecchie scrive Williams, è formato da Miller, appunto Nicolas Cage, il suo vice e cuoco Charlie Hocks, cioè Xavier Berkeley, lo scuoiatore Fred Schneider, cioè Jeremy Bobb, e il ragazzo fresco di Harvard che vuole vedere il west Will Andrews, interpretato da Fred Hechinger.

     

    Sarà proprio Will, dopo un incontro con il trafficante di pellicce McDonald, interpretato dallo Xavier Berkeley di “Sound of Metal” e con la bella prostituta del saloon Francine, Rachel Keller, a metterci i soldi per la partita di caccia capitanata da Miller che porterà il gruppetto fra le montagne del Colorado, ma qui siamo in realtà nel Montana nel territorio dei Blackfeet, dove incontreranno una mandria di ben ventimila bisonti. Metafora dell’uomo che non si ferma di fronte alla distruzione della natura, o della follia omicida dell’americano medio con un fucile in mano, Miller inizia a massacrare i poveri bisonti inermi. Mettendosi contro lo scuoiatore Fred.

     

    E non riesce a fermarsi neanche quando l’inverno gli impedirà di tornare indietro con le pelli obbligando il gruppo a un inverno un po’ suicida peggio di quello nostro senza gas russo.

    butcher's crossing butcher's crossing

     

    Una situazione che ricorda non poco quella di un vecchio western di Richard Brooks, “L’ultima caccia”, con Robert Taylor cacciatore sempre più pazzo che uccide i bisonti per affamare gli indiani e poi uccide anche gli indiani. Qui gli indiani si limitano a tagliare le palle a uno poveraccio fortunatamente in fuori campo. Ma non compaiono proprio. Bastano i bisonti. Ora. Se la prima parte del film è piuttosto fedele alla prima parte del romanzo, la seconda deve quasi obbligatoriamente ridurre il vuoto filosofico e la mancanza di azione concentrando un po’ quello che accade e sorvolando sull’aspetto più bizzarro della struttura del libro di Williams.

     

    Polski cambia anche un po’ le cose per offrire un finale più da western. Ma allontanandosi dal romanzo si allontana anche da quello che aveva di più forte e meno ovvio. Detto questo, Nicholas Cage funziona bene e funzionano benissimo i veri bisonti che vediamo scorrazzare nel film e che appartengono ai Blackfeet del Montana. Leggiamo sui titoli di coda che dei 60 milioni di bisonti che c’erano in America, la follia dei cacciatori li ridusse a un numero ridicolo e solo grazie alle leggi protettive e alla cura degli indiani se ne trovano oggi in America 20 mila. Ovviamente tutto questo aspetto naturalista non credo proprio che appartenesse al romanzo di Williams. Più concentrato sulla follia tutta americana dell’uccidere per l’uccidere e sull’indifferenza della natura come risposta morale alle nostre azioni.

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