Estratto dell'articolo di Valeria Palermi per www.editorialedomani.it
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Sembra una data come un’altra. Ma per circa 10 milioni di persone nel mondo l’11 aprile è stata la giornata internazionale del problema che gli ha sconvolto la vita: il Parkinson. La malattia neurologica che sta crescendo più velocemente sul pianeta, dato l’aumento della vita media, e si prevede che il numero di diagnosi raddoppi entro il 2040. Una tremenda sfida sociale.
Difficile scrivere di Parkinson senza diventare subito ansiogeni. Ma il neurologo italiano Michele Tagliati è autore di un libro dall’approccio rigoroso ma rasserenante, Parkinson’s Disease for Dummies. Vice primario di neurologia al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles (tra i centri più avanzati al mondo), ne dirige il Centro di ricerca e cura del morbo di Parkinson: la persona giusta cui chiedere come affrontarlo. E perché, ancora oggi, questa malattia è incurabile.
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«La verità è che tuttora non capiamo bene, come comunità scientifica, da dove viene. Abbiamo molte teorie: alcune implicano predisposizioni genetiche, altre insulti di tipo ambientale come pesticidi e agenti chimici. L’invecchiamento ha un ruolo fondamentale, e alcune condizioni abbastanza comuni (obesità, diabete, ipertensione) ne aumentano il rischio.
[…] possiamo trattare i nostri pazienti per un periodo anche molto esteso. Non è inconsueto averne con un’aspettativa di vita di 30 anni e più».
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Si può fare molto, assicura Tagliati. Trattare la malattia efficacemente, perlomeno negli stadi iniziali, con somministrazione di prodotti dopaminergici. «Uno dei tratti principali è la degenerazione del sistema dopaminergico: il cervello non riesce a sintetizzare dopamina normalmente. I principali sintomi motori (tremore, rigidità muscolare e particolare lentezza dei movimenti) vengono molto migliorati da queste medicine, soprattutto se prese regolarmente».
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Dopo almeno 5 anni, però, la risposta comincia a essere più debole e la dose va incrementata. Non basta: i pazienti hanno anche problemi non motori, per esempio disturbi di sonno, memoria, ansia, depressione, e una pressione arteriosa “ballerina”, troppo alta in posizione supina e troppo bassa quando ci si alza in piedi, causando sintomi di capogiro, persino svenimenti.
[…] Attualmente, la terapia avanzata più efficace è la Deep Brain Stimulation (Dbs): consiste nell’impiantare nel cervello fili elettrici collegati con un pacemaker, che permette di erogare impulsi che interrompono quei circuiti anomali causa dei sintomi del Parkinson. Lo chiamiamo “il pacemaker del cervello”.
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È come rimettere l’orologio indietro di anni, il controllo dei sintomi, almeno motori, è estremamente efficace. Due avvertenze, però: bisogna procedere con una chirurgia cerebrale, quindi non si possono escludere danni vascolari (un’emorragia è rara ma possibile); e, per quanto a volte quasi miracolosa, non ferma la progressione della malattia».
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Lo stesso paziente può fare molto: lo stile di vita ha grande influenza nel prevenire e trattare il Parkinson. Tre elementi sono fondamentali, spiega Tagliati: 1) esercizio fisico intensivo, che riduce in generale il rischio di ammalarsi di Parkinson e consente a chi ne è affetto di rallentare la progressione;
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2) attenzione a qualità e durata del sonno, perché la maggioranza delle persone con Parkinson dorme molto male, si sveglia più volte, col risultato di soffrire di giorno di stanchezza cronica, problemi di concentrazione e memoria, mal di testa, depressione […] 3) alimentazione: sembrano predisporre al Parkinson o peggiorarlo cibi come latte, latticini, formaggi, yogurt, carne (il pesce invece è consigliato) perché la sua assunzione pare correlata a variazioni del macrobioma intestinale, fritti, bibite gasate.
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